Il Seme della Follia (di J. Carpenter, 1995)


Ci sono film che ti accompagnano per tutta la vita quasi fossero una tata amorevole. Film da guardare ogni due-tre mesi, medicina da prendere regolarmente contro i dolori dell'esistenza, pena la pazzia. 
Per chi è cresciuto con l'horror, uno di questi film è sicuramente Il Seme della Follia del maestro John Carpenter, anno 1995.

Apro parentesi: tutti credono che i film di Carpenter siano semplicemente film. Bè, sarebbe come dire che la Gioconda è solo il ritratto di una donna che riesce a trattenere a stento le risate. Persino parlare di horror è limitativo, perchè il buon vecchio John ha sempre dimostrato che lui con le etichette ci si pulisce il c...uore.
Il Seme della Follia, in questo senso, è molto di più di un film horror e a volte quasi mi convinco che sia stato girato da un alieno, da qualche entità proveniente dal cuore buio dell'universo, capace di pensare cose che a noi umani sono precluse. 

John Trent (Sam Neill) è un detective delle assicurazioni che, per conto della casa editrice Arcane e dell'editore Jackson Harglow (Charlton Heston), indaga su Sutter Cane (Jurgen Prochnow), famosissimo scrittore horrorifico scomparso prima della consegna di In the Mouth of Darkness, il suo ultimo romanzo. Trent inizia così un viaggio che lo porterà, in compagnia dalla segretaria dell’editore Linda (Julia Carmen), a Hobb’s End, immaginaria cittadina dove sono ambientate le vicende descritte da Cane.


Il Seme della Follia guarda oltre lo specchio, oltre la realtà nostra, in quel luogo dove siamo soliti imprigionare le paure ancestrali e innominabili che ci perseguitano. Un altrove a cui preferiamo non far caso. Il baubau nell'armadio, ciò che chiudiamo con il lucchetto del razionale e a cui diamo il nome di "immaginazione". 
Eppure arriva qualcuno, ogni tanto, dotato di una sensibilità particolare sconosciuta ai più, che si ritrova con la chiave di quel lucchetto nelle tasche. Ci vuole coraggio ad usarla, perchè quando la serratura verrà aperta e lo specchio infranto, quel mondo altro si riverserà nel nostro e lo divorerà, abbattendo le barriere mentali che con tanta cura avevamo costruito. L'unico risultato possibile, allora, sarà il caos.

Per Carpenter la parola scritta (e poi l'immagine cinematografica, come ci spiega nel mediometraggio Cigarette Burns) può essere tale chiave. Ovviamente bisogna saperla usare, cosa che il suo personaggio, Sutter Cane, sembra essere in grado di fare benissimo. 
Cane dà vita, attraverso la propria penna, agli orrori di un'esistenza parallela, ai mostri nascosti sotto un velo d'apparenza. Dà forma alle paure più arcane che tengono sveglia la mente anche nella più stanca delle notti e che spalanca le porte della percezione, permettendo all'uomo comune di vedere quel che lui vede. Chi legge i suoi romanzi scopre tra le righe quel che la sua mente si ostina a rifiutare e, a quel punto, può solo impazzire o morire. 


Al contrario, John Trent è la mente razionale per eccellenza. Un investigatore che non solo crede solo a quel che può vedere, ma che ha bisogno di entrare nelle cose per poterle comprendere meglio. Il problema sorge quando quel che vede va al di là dei confini razionali attraverso cui è abituato a catalogare, quando le etichette cadono, le categorie crollano e quel che rimane sono le rovine della ragione. 
La lotta diventa impari: da una parte un uomo che da custode del cancello si è fatto cancello stesso, la parola che si è fatta rappresentazione; dall'altra un individuo che ha perso la propria identita, che da padrone della propria esistenza è divenuto strumento, ruolo, personaggio di una storia scritta da qualcun'altro. Lentamente il faro della ragione si spegne, lasciandolo scivolare nel buio dell'irrazionale. Ed ecco che Carpenter attua il ribaltamento finale, spingendosi lì dove non si era mai spinto, permettendo al Signore del Male di oltrepassare lo specchio, agli alieni di Essi Vivono di rivelarsi e a quel virus organico chiamato semplicemente La Cosa di scappare dall'antartide e di arrivare qui da noi. Le città crollano sotto il peso della parola scritta, del verbo che si è fatto carne in un tentativo quasi cristologico, mentre chi conserva un modello percettivo razionale diventa il folle in un mondo che di razionale ormai non ha più nulla.

"- L'epidemia contagia chi lo legge, e lui diventa sempre più potente!
- E non ha pensato che c'è chi non lo leggerà?
- Vedranno il film.."


Con Il Seme della Follia, Carpenter riesce in quello cui molti altri prima (e dopo) di lui avevano fallito: portare su pellicola la complessità dell'immaginario lovecraftiano. Impresa titanica, perchè ciò che tra le righe di un romanzo o di un racconto si rafforza nel non detto, nell'immagine perde tutto il proprio potere. Le parole inducono senza mostrare, danno indizi che il cervello del lettore decodifica e trasforma in quel che più lo terrorizza. Le immagini mostrano e basta, rendendo passivo il ruolo dello spettatore. 
Carpenter allora fa l'unica cosa possibile: ci mostra le cose senza spiegarcele. Da il tempo allo spettatore di raccogliere indizi, regalandogli frammenti di un quadro molto più complesso che, sfocato, rimane sullo sfondo. Per tutta la prima, abbondante parte, tratta la storia come un thriller, condendola di elementi surreali e lasciando al fruitore il compito di riempire i buchi. Poi, finalmente, arriva il momento di mostrare l'orrore. Ed ecco che, proprio all'apice della rivelazione, nel momento stesso in cui il male incombe (non un male morale ma un male reale, che rifugge alle categorie cristiane di giusto e sbagliato), lo spettatore è costretto a fuggire e a guardarlo con la coda dell'occhio, interessato solo a non farsi raggiungere. Troppo tardi: ormai vi è nel mezzo, travolto, risucchiato, fatto a pezzi. Credo che se Lovecraft avesse potuto vedere questo film, avrebbe sorriso compiaciuto, perchè del solitario di Providence c'è molto (come in gran parte della filmografia di Carpenter), in un colto gioco citazionista che omaggia lo scrittore americano.

Alla fine, quel che rimane, è un manicomio: tutto ha inizio lì ed è lì che finisce. Il cerchio si chiude imprigionando il nostro stomaco in una morsa. Fuori è l'apocalisse e dal romanzo di Cane stanno persino per trarre un film: In the Mouth of Darkness, quello che abbiamo appena finito di vedere. L'immaginazione si è fatta carne e il viaggio ci ha portato dritti dov'era iniziato: negli occhi di chi guarda.

Commenti

  1. Io credo che Carpenter abbia un sistema percettivo diverso dal nostro. Sul serio. Lui vede cose che noi non possiamo vedere e ci fa la cortesia di raccontarcele.
    E' come una divinità benevola che ogni tanto regala per un istante uno sguardo diverso ai mortali.

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  2. E' un alieno. Io credo che un giorno distruggerà il mondo e lo ricostruirà a sua immagine e somiglianza.

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  3. quanto mi terrorizza la risata finale di Neil!Purissima follia,che peraltro colpisce un personaggio descritto davvero come il "buono" della storia,si vorrebbe un finale positivo per lui e invece.
    Questo film è un capolavoro.

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  4. Capolavoro senza ombra di dubbio... irripetibile e veramente poco rassicurante...

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  5. questo è anche un mio cult personale!
    anche se non lo vedo ogni 2 o 3 mesi che se no non dormirei più.. :D

    grande che hai citato anche cigarette burns, piccolo-medio-grande capolavoro

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  6. Non saprei trovare, pensandoci su, un film horror equiparabile a questo per regia, atmoefera e sottotesti.

    Cigarette Burns sembra l'ideale continuazione di questo film, credo di averlo anche scritto nella rece ad esso dedicata. Sono contento di aver trovato un altro estimatore

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