In un'epoca che non è la nostra: Midnight in Paris (di W. Allen, 2011)


"Ogni città è negli occhi di chi la vive"

Chi di noi, almeno una volta, non ha pensato di essere nato nel luogo e nel tempo sbagliato? Chi non ha pensato, almeno una volta nella vita, che se fosse nato in un mitico tempo passato, sarebbe stato più felice? Tutti. Forse Nessuno, perchè siamo Ulisse in un mondo che non ci appartiene, noi, così scontenti di quello che viviamo, così felici quando riusciamo ad immergerci nel sogno. Forse.

Immagini da cartolina: è così che inizia l'ultima (ops, la penultima) fatica di Woody Allen, Midnight In Paris (2011). Fa quasi paura, perchè il pensiero corre subito all'orribile Vicky, Cristina, Barcelona e viene da chiedersi se il vecchio Woody abbia davvero perso il senno o l'ispirazione. Niente di male se si considerano i capolavori del passato. Eppure il regista e sceneggiatore continua il suo tour nelle capitali europee e passa lì dove tanti altri sono passati: Parigi, una città che ti si insinua dentro anche se non te ne accorgi, anche se continui a ripeterti "massì, è solo una città come tante altre".

Gil e Inez sono una giovane coppia in aria di matrimonio che, al seguito dei facoltosi genitori della ragazza, si ritrovano a Parigi: la città dei sogni, per Gil, annoiato sceneggiatore hollywoodiano che cerca l’ispirazione per il suo primo romanzo.


Se l'inizio è quindi un colpo al cuore, il dolore dura solo il tempo dei titoli di testa: ecco che subito ci ritroviamo d'avanti ad una coppia apparentemente innamorata che però non può fare a meno di discutere su tutto. Gil è un sognatore innamorato di un altro tempo (gli anni '20) e di un altro luogo, brillante, sarcastico e ingenuo, un piccolo e timido Allen desideroso di respirare la città della sua vita. Inez è invece pratica, concreta e viziata, innamorata del suo tempo e della sua vita, americana (repubblicana, punzecchia Woody) fino al midollo.
Così la cartolina si strappa e al suo posto compare un quadro surrealista, un gioco cubista dipinto con la macchina da presa: Midnight in Paris sembra essere l'opera di un bambino che combatte contro la paura di diventare grande. Un po' come Gil, che non vuole rinunciare alle aspirazioni che aveva da ragazzo, quando per la fama e per l'oro di Hollywood aveva scelto di abbandonare i propri propositi d'artista.

Alla (ri)scoperta di Parigi, il nostro protagonista si concede quindi un viaggio in solitaria tra le strade notturne della capitale, un viaggio non solo nello spazio ma anche nel tempo, a bordo di un'auto d'epoca che lo trasporta, ogni notte a mezzanotte, negli anni '20.
Lì, tra balli, feste e cafè, incontra i propri idoli, miti e artisti che hanno fatto grande un'epoca: dai coniugi Fitzgerald a Hemingway, da Picasso a Cole Porter. Un gioco di citazioni e richiami cinemo-letterari che stordiscono lui come noi, che alle sue calcagna ci perdiamo inebriati dalle luci e dai suoni della Ville Lumière.


Forse chi ha visto o anzi, ha vissuto Parigi, potrà comprendere alla perfezione l'emozione che prova Gil (interpretato da un ottimo Owen Wilson, stravolto dal doppiaggio italiano) rapito da questa città che ne ricorda tante altre ma rimane sempre unica nel suo genere. Chi ha percorso Montmartre di notte, chi si è fermato a bere nei locali alla penombra di vicoli antichi o ha guardato l'alba seduto lungo la Senna, non potrà che sentirsi il cuore rimbalzare nel petto. Eppure Allen traghetta lo spettatore, chiunque esso sia, in un mondo fatto di romanticismo e ironia, divertendolo e commuovendolo, lasciandolo con uno sciocco sorriso sulle labbra. Non firma un capolavoro ma un buon film (e meno male, visto i recenti disastri), forte della sua abilità nel trattare un soggetto pretestuoso, delicato e soffice come una crepe al cioccolato.
Non mancano nemmeno i classici momenti di genio colto e surreale, tratteggiando personaggi carismatici e strambi, un Dalì che parla di rinoceronti o un Bunuel che non comprende il senso di una storia suggeritali da Gil che poi diventerà quello comunemente riconosciuto come uno dei suoi capolavori, L’angelo sterminatore.


Gil, personaggio pieno di dubbi, non sa che strada scegliere: quella insicura che lo potrebbe portare alla realizzazione dei propri sogni o quella sicura e banale, coronata dallo stanco rapporto con Inez (un antipatica quanto sexy Rachel McAdams), con cui sembra non avere più niente a che fare.
Insicuro come scrittore e terrorizzato dall'idea del fallimento e della morte, fa leggere il suo romanzo a Gertrude Stein e a casa di questa conosce Adriana (la bella Marion Cotillard).
E' il momento della svolta: se da un lato il nostro capirà che l'arte può anche essere panacea alla vita e non solo realistico rimpianto, dall'altro scoprirà che l'infelicità e l'insoddisfazione sono proprie di ogni uomo e ogni epoca. Non importa quando e dove si viva, l'importante è il modo: bisogna cercare un motivo per cui essere felici dentro se stessi.


Un racconto di liberazione, quindi, tra gag all'ombra della Torre Eiffel e una Carla Bruni fuori posto come un panettone d'estate, tra un Adrien Brody mai stato tanto sciocco e divertente e una vena di sarcasmo che scocca stoccate al cinema e al suo pubblico, sempre pronto a farsi ingannare (e che può ritenere un film stupido, infantile e scadente per poi osannarlo durante un aperitivo in un bistrot). Ad aiutarlo una fotografia che dopo il tramonto da il meglio di se, quasi a sottolineare l'onirismo di un'opera in costante bilico tra realtà e finzione, accompagnata da una colonna sonora in linea con i gusti del regista.

E intanto questo sembra essere un film catartico, per lo spettatore, a cui fa bene al cuore, e per Allen, che sembra dimenticarsi per un attimo della paura di invecchiare e di morire: perchè è l'amore, quello vero, che sconfigge i rimpianti e con essi la morte. Si può essere d'accordo o meno con l'autore, ma fa piacere sapere che ci sia qualcuno che ancora ci crede.

Commenti

  1. "Forse chi ha visto o anzi, ha vissuto Parigi, potrà comprendere alla perfezione l'emozione che prova Gil"

    Eh già.
    E forse è per questo che Midnight in Paris mi è tanto piaciuto, con tutte le sue imperfezioni.

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  2. E' un film che punta molto sull'atmosfera, che prende il cuore... se poi si conosce Parigi il risultato è amplificato...

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  3. Io purtroppo mi trovo in disaccordo. Dubito sia necessario vivere una città per sentirla in un film che la racconta. Lo stesso Allen ha dimostrato il contrario in passato. Semplicemente, a mio avviso, queste città(le ultime in cui ha ambientato le sue pellicole) non sono le sue, e si vede. Non riesce a coglierne l'anima, limitandosi a rappresentarle come fossero una cartolina. E di conseguenza il film non risulta affatto pulsante.

    Sul cercare poi di trovare un attore che interpreti il suo personaggio Allen non può che fallire, per ovvi motivi. È il suo personaggio e solo lui può interpretarlo. E il risultato di tali tentativi è ogni volta un fallimento.

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  4. Come avrai capito non sono d'accordo. Sia perchè è vero che non è neccessario vivere una città per sentirla in un film, ma se l'hai fatto (se l'hai vissuta) è quasi logico che il film risveglierà sensazioni diverse rispetto a chi non l'ha conosciuta. Eppoi non vedo, in questo caso, la cartolina: forse inizialmente, ma poi Parigi diventa un teatro della nostalgia, non un teatro nostalgico. Parigi è stata la città degli artisti più di qualsiasi altra, e questo film gioca con arte e cultura. Non sarà un capolavoro ma a me ha scaldato il cuore.

    Per quanto riguarda Allen e gli attori che lo impersonano, poi, ha ragionissima.

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