Fantasmi da Marte (di J. Carpenter, 2001)


Anche i lavori minori di un vero artista hanno motivo di esistere. Per quanto possano sembrare brutti, poco originali, inconsistenti e mal realizzati, c'è un motivo se l'artista ha deciso di dedicarvisi. Possa anche essere questo motivo una marchetta.
E' da anni che ormai John Carpenter viene considerato un regista finito. Perchè, è vero, il suo ultimo film (The Ward, 2010) è stato su commissione ed è arrivato dopo una pausa di dieci anni dal mondo del cinema. Tra l'altro senza convincere più di tanto - come si dovesse sempre tirar fuori capolavori per contratto. 
I detrattori diranno che nemmeno i suoi lavori precedenti si potevano definire opere degne del suo nome e il primo film che citano in tal senso è il penultimo Fantasmi da Marte, del 2001.
E' vero, Fantasmi da Marte è un film minore. Ma è il film di un artista. Uno che anche nel peggiore dei casi ci mette uno stile inconfondibile a velare uno spirito saldo e ben definito. La reinterpretazione della realtà (e dei generi) che nessun altro regista "di genere" è riuscito a praticare. Anche per questo l'opera si inserisce in un continuum preciso divenendo tassello insostituibile del suo percorso cinematografico. 

All'inizio era Distretto 13. Un western metropolitano, chiara rivisitazione del classico Un Dollaro d'Onore di Howard Hawks, maestro dichiarato per John Carpenter. Forse il primo, vero film di un giovane regista in grado non solo di ravvivare l'anima del genere western ma di contaminarla con l'estetica horror e, soprattutto, di ribaltare i concetti di bene/ male, giusto/sbagliato, buono/cattivo. Uno che arriva e ti fa tifare per colui che in qualsiasi altro film sarebbe stato l'antagonista, trasformandolo in anti-eroe. Il meccanismo funzionò e il nostro lo utilizzò altre volte, in altri film. In alcuni di essi l'antieroe è diventato icona (chiamami Jena). Ma arriviamo a fine carriera (?) che ironicamente è anche l'inizio di un nuovo secolo - il 2001 - e l'anno di un prodotto che è stato visto come anacronistico. Perchè Fantasmi da Marte, dopo 25 anni, ripropone la formula di Distretto 13 rivelandosi quasi un remake del vecchio capolavoro. Solo che gli anni sono passati e la frontiera non è più ai margini della metropoli ma a quelli del mondo conosciuto, allargatosi fino a sfiorare i confini del sistema solare. 


Marte, 2176 d.c. - Il pianeta rosso, da tempo abitato dai terrestri, è stato selezionato quale soluzione alla saturazione della Terra. 640.000 coloni vivono e lavorano in avamposti ed insediamenti disseminati sul pianeta, sfruttandone le risorse. Nel corso di un'operazione di scavo, viene casualmente effettuata una scoperta che avrà ripercussioni letali. Gli scavi portano alla luce tracce di una civiltà sepolta da secoli, risvegliando involontariamente i suoi guerrieri (tratto da filmscoop.it)

Quello che a Carpenter è sempre stato a cuore rappresentare è un mondo umanocentrico che si scontra, a un certo punto, con i propri limiti, facendo entrare l'uomo in contatto con forze superiori che ne rivelano la piccolezza e l'impotenza, ridimensionando il posto che egli crede di occupare nell'universo. L'essere umano che si scontra quasi sempre con un orrore proveniente da un altro mondo, da altre dimensioni o da altri pianeti, a volte persino da dentro se stesso. Bisogna ricordare questo per poter guardare a Ghosts of Mars non come a una marchetta ma come a un fondamentale (ma minore) tassello di una poetica precisa che, allo stesso tempo, è ritorno alle origini. Anzi, è proprio l'anima da B-Movie a permettere al film di funzionare, perchè non c'è altro oltre l'azione, il sangue e il divertimento. Non c'è nessun intellettualismo da comprendere, nessuna indagine da condurre. C'è soltanto un film di un'ora e mezza da guardare a mente spenta, gioendo per ogni citazione e per l'estetica spatter che ricorda l'horror di una volta. Tutto il resto, tutta la poetica di un maestro dell'horror, è stata già sciorinata in 19 film precedenti. Qui diventa eco: l'eco di un antieroe ancora una volta costretto dalle circostanze, l'eco di un uomo (anzi, una donna) vittima della propria debolezza e impotenza, l'eco di una forza invisibile che si abbatte sull'individuo, lo possiede e lo fa a pezzi, l'anima arcana di un mondo sconosciuto ma non per questo meno reale del nostro.


In tutto questo il western si fa strada tra le stelle. Marte è l'erede ideale della frontiera terrestre: terra arida ma ricca di possibilità inesplorate. Terra di altri, invasa e conquistata. Il problema è che i fantasmi del passato non rimarranno immersi nel loro sonno per tutta la vita. Non per sempre. Così quella nuova terra diventa un vaso di Pandora che, come tutti i vasi, solleciterà la curiosità dell'uomo che alla fine dovrà vedere cosa c'è dentro. E sarà il passato che vi troverà. Perchè il passato torna sempre, ce l'ha insegnato Carpenter. 
Se i marziani (gli extraterrestri) sono gli indiani del futuro, conservano per questo nell'immaginario la stessa estetica dei loro antenati: creature selvagge, fisiche, al di là del bene e del male. O almeno è così che le vede l'uomo conquistatore, perchè è questo l'unico modo che ha per potersi dare un alibi. In fondo non c'è guerra in cui ogni combattente non creda di essere dalla parte dei buoni. Anche per questo l'(anti)eroe è un nero, quasi a voler segnare un cambiamento che cambiamento non è ma solo una visione più allargata del tutto. 
In effetti l'estetica dei "mostri" ricorda quella del frammento d'umanità regredito in 1997 Fuga da New York (e ricordate chi era il loro capo?), la stessa che sarà poi fagocitata da Neil Marshall e trasmutata nel gioiello Doomsday.

Fantasmi da Marte non è certo un capolavoro, forse non è nemmeno un bel film, ma è esattamente quello che vuole essere: un remake - e per questo ricorda molto la precedente Fuga da Los Angeles - un ritorno alla serie B in pieno stile Carpenter. Il primo esempio di digitale nella cinematografia del regista. I mezzi con cui è stato realizzato non sono stati di certo enormi e nel cast non primeggiano prime donne: Ice Cube non è certo un mostro di bravura e Jason Statham continuava ad essere relegato a ruoli da comprimario. D'altra parte ci sono Pam Grier, riesumata da Tarantino quattro anni prima; Clea DuVall che nel cinema di genere c'ha sguazzato concedendosi puntatine in film d'autore, e Natasha Henstridge, che brava non è ma bella sì (e ce la ricordiamo benissimo proprio per questo in Specie Mortale, del 1995).
Forse la vera differenza sostanziale che separa questo film dai classici del maestro è un diverso uso della musica, non più solamente scritta da Carpenter stesso ma che cede al rock e al metal soprattutto nelle (molte) scene di combattimento. La fotografia (di Gary B. Kibbe) rimane cupa, soprattutto notturna, con predominanza del rosso e del nero.
E poi c'è il pessimismo, ma quella è una costante nell'universo carpenteriano. Perchè nessuno si salva veramente. Perchè non c'è salvezza. Perchè noi non siamo altro che un frammento, sia fuori che dentro, della realtà che ci circonda.


Commenti

  1. Ottimo post, denso e ben costruito.
    Tra l'altro, film sottovalutatissimo, che rivedo sempre volentieri. :)

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  2. Il cinema di serie b puro è roba da mestieranti,quindi un Harlin qualsiasi,gli altri seppure fanno film legati al genere sono per forza altro e oltre.Perchè hanno una sensibilità che non si ferma alla forma,ma va al contenuto
    E Fantasmi su Marte,grande pellicola ingiustamente sottovalutata è questo.Tu vedi un film di fantascienza ,di mostri e di soldati,ma non è solo questo.Parla del mondo occidentale,di come si è arricchito,di chi lo comanda e di cosa fa sempre.Anche se potrebbe avere una parvenza di luogo progressista-comandano le donne,e qui Carpenter fa a pezzi il femminismo borghese ,tipica piaga ammmmereggana che ha trovato spazio anche da noi-i fantasmi,i mostri,i selvaggi,non sono buoni e non chiedono nulla,hanno secoli di oppressione e quindi mo so cazzi vostra!Un grande film politico e sociale(socialista?)una splendida opera:radicale,pessimista,militante anche nel senso di essere un combattente di certo cinema,che ripeto è serie b,ma mai fine a sè stessa

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  3. @James Ford: Ti ringrazio. In effetti è sempre un piacere vedere un film del genere, soprattutto diretto dalla mando di Carpenter

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  4. @babordo: no, non sono d'accordo. O meglio, è la tua lettura del film e va bene, ma questo non significa che sia quello che effettivamente Carpenter voleva dire. Non sono mai d'accordo con le letture necessariamente sociali o, peggio, politiche.
    Al di là del fatto che la serie B si riferisce ai mezzi più che ai contenuti, può essere certamente veicolo di contenuti più o meno importanti, ma può essere benissimo puro intrattenimento senza per questo essere inferiore ad altro. Che Carpenter veicoli qualcosa non c'è dubbio, che ci sia di più di quanto aveva già fatto/detto nei suoi precedenti lavori ho i miei dubbi. Poi ovviamente anche quello che ho scritto qui è solo una mia lettura.

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  5. Io ce li vedo perchè dopotutto lo dicono anche nel film ,che sono gli spiriti dei minatori ecc...Poi vabbè per me ogni cosa che uno fa e dice è politica,sopratutto quando dice di non farla!^_^

    Il genere è un contenitore-non parlo di budget e di seria a o b-da riempire secondo la sensibilità di autori,perchè per me fRIEDKIN,Carpenter ,Hill,sono autori.Con stili,immaginario,temi.Invece i mesieranti no.Sono importanti,questi ultimi?Si,per carità,ma a me piace un altro tipo di cinema e di genere.Eh,che vuoi son un occhialuto pedante e snob!^_^

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  6. Io credo semplicemente che un film debba dare allo spettatore quel che quest'ultimo vuole vederci. Questo non significa che i mestieranti non veicolino qualcosa. Il divertimento intelligente, citazionista o ironico/grottesco veicolano tanto quanto i pensieri, le filosofie e i temi.

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