Solo 2 Ore (di R. Donner, 2006)


Se guardassimo all'Olimpo del cinema americano troveremmo, nascosto dietro una colonna o spinto in fondo in fondo da tanti grandi maestri e veri e propri artisti visivi, un piccolo mestierante come Richard Donner. Colui che verrà ricordato nei secoli a venire per una manciata di pellicole: I Goonies, Superman, Arma Letale, Omen e Ladyhawke. Niente che faccia gridare al capolavoro o al miracolo, ma cinque film cult anni '80, cinque pellicole che hanno segnato un'epoca e molti di noi nati proprio in quegli anni, oltre a riscuotere un successo impressionante. 
La fortuna di Donner, grazie a questi film, è durata più o meno fino alla fine degli anni '90. Poi il regista è scomparso, esclissato da nuove idee e nuove tecniche. In un certo senso l'epoca dei mestieranti (termine inteso non necessariamente in senso negativo) è finita alle soglie degli anni 2000 e Donner, da bravo rappresentante della categoria, è sparito per qualche anno dal circuito che conta per poi tornare nel 2006 con un film in pieno stile Richard: Solo 2 Ore

Il poliziotto Jack Mosley, vecchio e alcolizzato, deve scortare il detenuto Eddie Bunker per una testimonianza in tribunale. La distanza che separa i due dal punto di arrivo è di soli 16 isolati, ma non sarà così facile arrivarci perché le persone contro cui Eddy deve testimoniare non sono semplici criminali.

Di primo acchito Solo 2 Ore sembrerebbe un one men show. Nel senso che il protagonista Bruce Willis dovrebbe - secondo le aspettative - rubare la scena a tutti gli altri personaggi e scatenare l'inferno come nei film di cui, in passato, è stato simbolo (la saga di Die Hard, ad esempio). Invece le cose non vanno proprio così. Basta staccarsi dalla superficie e scendere un po' più in profondità per rendersene conto. Anche per questo, quello che sembrerebbe il solito vecchio film visto e rivisto si rivela altro. C'è chi ci ha trovato solo l'atmosfera anni '80 e quel tipico modo di fare cinema, ma io non sono completamente d'accordo. O meglio: l'ispirazione è sicuramente quella ma in effetti siamo negli anni 2000 e la cosa si nota. Donner ha provato ad adattarsi ai tempi nell'unico modo possibile e ha parlato degli anni '80 da una prospettiva contemporanea. E il tutto sembra quasi un epitaffio. 
Ed ecco che il personaggio di Mosley è un McClane invecchiato, stanco e fatto a pezzi dalla vita. Uno che al contrario del suo "collega" di celluloide non è mai stato un eroe e non ha mai voluto esserlo, un reietto corrotto dal lato oscuro, soverchiato dal senso di colpa e dall'apatia di una vita senza senso. In altre parole, un perdente. Non esattamente quello che ci sarebbe aspettati all'inizio. Ma un po' tutte le aspettative, in questo film, vengono sconvolte. Tutto si svolge secondo i più classici dei canoni ma poi si spengono in un nulla di fatto che lascia quasi a disagio, quasi quello che accade fosse "fuori tempo massimo". E forse è proprio di questo che si tratta ed è di questo che parla il film: di una generazione e di un modo di fare le cose (compreso il cinema) che ormai non ha più motivo di essere.

Al centro della storia una strana coppia. Strana trent'anni fa, adesso è un classico, soprattutto quando si tratta di un maschio bianco e di uno nero. Il richiamo a 48 Ore è evidente, se ne sono accorti persino i distributori italiani. Già da subito però ci rendiamo conto che il gioco è a parti invertite, che il delinquente è il più buono di tutti e che il buono è un antieroe consumato, a tratti sgradevole. L'azione è strabordante ma la comicità è quasi fanciullesca, mai volgare. Il ritmo è alto ma i botta e risposta sono più che altro lunghi monologhi affidati a Mos Def. C'è un cattivo di quelli che rimangono impressi ma a dirla tutta nemmeno così antipatico (interpretato da un David Morse in grado di caratterizzarlo alla perfezione). Willis è convincente in una parte non comune al suo stile, si adatta al ruolo ed è perfetto, forse persino ispirato all'Eastwood de Gli Spietati. Le dinamiche in effetti sono quelle di un western metropolitano, fatto di attese, sparatorie, fughe e inseguimenti. A volte si mette alla prova la credulità dello spettatore ma non si tratta certo di un film che punta sulla credibilità, questo. Lo scopo è passare queste due ore (quasi in tempo reale) in ricordo dei vecchi tempi, in un omaggio ai vecchi tempi che ormai non ci sono più, anche se qualcuno non se n'è ancora reso conto.


Commenti

  1. Un bel film, onesto, dove mestierante ha sicuramente un'accezione positiva. Ne parlai qui

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  2. Questo è uno dei miei classici,va che per fare il giovine te lo scrivo nella nostra lingua ufficiale: modern classic with fuck yeah!
    Rappresenta il cinema come lo vedo e intendo io,i personaggi grandi e completi,un cattivo da applausi.

    L'hai visto ieri sera su Rai 4 l'uomo che veniva dal nulla?Un film coreano di devastante violenza e profonda commozione.

    ps:mi perdoni se per me Mestierante è solo insulto?Artigiano e anche di lusso ,questo è Donner .
    ciao!

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    1. No, ieri non ero a casa e non ho visto la televisione. Però su rai4 i film li ripassano sempre :D

      Ah, per me mestierante non è un insulto: lo intendo come qualcuno che fa qualcosa solo per (e con, in questo caso) mestiere.

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    2. si,si ho capito che per te e lucia non è un insulto,ma io da brianzalotto chic ne do altro significato ^_^ scherzo.
      Mi piace il termine artigiano perchè da l'idea di uno senza pretese particolarmente intellettuali,ma che fa le cose con molta cura.Però sono quisquiglie e pinzillacchere.
      Man from nowhere è una figata della madonna per me,tanto che nel finale ero anche in lacrime...vabbè..non ci vuole molto !

      ciao!

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