Atto di Forza (di P. Verhoeven, 1990)



Le nuove generazioni non comprendono bene il valore di film appartenenti ad un'epoca passata. Ormai si preferisce sempre il nuovo al "vecchio" e si tende a rielaborare tutto in chiave contemporanea, vuoi per marketing , vuoi per appeal estetico. Eppure nell'era dell'immagine digitalizzata diventa sempre più difficile andare in profondità, oltre. L'immagine non è più il mezzo, è lo scopo. Ad esempio, prendiamo Atto di Forza di Paul Verhoeven, anno 1990. Un film "vecchia scuola" arrivato prima dell'era CGI, quando gli effetti speciali erano analogici, meccanici, reali. Sì, può sembrare strano ma quando realizzi il futuro a mani nude, con il vecchio caro artigianato, persino la meno realistica delle ipotesi diventa "reale", prende forma. E l'effetto speciale rimane solo un modo per realizzare l'impossibile.

2084: l'operaio Doug Quaid è perseguitato da strani sogni su Marte e proprio per questo si rivolge alla Recall, agenzia specializzata in "turismo mentale", per una vacanza su Marte. Scoprirà però di essere già stato sul pianeta rosso e che i suoi ricordi di un'esistenza passata sono stati rimossi. In realtà Quaid è Hauser, agente segreto coinvolto in un complotto dal dittatore Vilos Cohaagen.

Fantascienza. Di questo si tratta quando parliamo di Atto di Forza. Una fantascienza classica, ambientata su mondi lontani, in tempi lontani, con alieni e tecnologie non umane, mutanti e complotti distopici. Non a caso il film è tratto da un racconto di Philip Dick, We Can Remember It For You Wholesale. Alla regia c'è l'olandese Verhoeven, alla sua seconda esperienza americana dopo il successo di Robocop. Uno abituato a fare satira politica e sociale, a travestire i propri lavori di leggerezza per poi affrontare temi scottanti e difficili, tra una risata, una sparatoria e un geyser di sangue. 
Proprio grazie (o a causa) di un regista così ci troviamo anni luce distanti dal racconto di Dick, da cui il film è tratto: se la prima parte è pressochè identica, la seconda li distanzia definitivamente, trasformando Atto di Forza in un action sorretto dal corpo statuario di Arnold Schwarzenegger. Due anime per un unico film come due sono le anime del protagonista, la cui duplicità sarà alla base degli sviluppi di una storia non lineare (scritta, tra gli altri, da Dan O'Bannon e Gary Goldman).

 
Atto di Forza è un film sull'identità. Cosa determina l'identità di un uomo, il suo passato (i ricordi) o il suo presente/futuro (le scelte)? E su questo dilemma che si basa la pellicola. Perché Douglas Quaid è un uomo nuovo nel momento in cui il suo stesso passato gli viene negato. Una finzione che diviene reale non appena viene accettata come tale. Come dire: non siamo quel che ricordiamo, siamo quel che decidiamo di essere. Allora Quaid diventa il simbolo di una realtà mutevole, che cambia in base al nostro modo di guardare e alle decisioni che prendiamo. E' importante: nel film non viene (quasi mai) messo in dubbio il principio di realtà ma solo quello di identità, a differenza del racconto. Verhoeven ci da tanti piccoli indizi che però noi non cogliamo, intrappolati come siamo nel punto di vista del protagonista. I personaggi non si pongono domande, nessuno mette in dubbio ciò che ha di fronte, persone o situazioni che siano. Sono tutti al di fuori di un meccanismo e chi c'è dentro e solo una maschera tra le tante, finto, inafferrabile. In questo sta la scelta vincente dell'attore principale, uno Schwarzenegger muscolare, inebetito e più propenso all'azione che alla riflessione. Perfetto in un mondo come quello di Atto di Forza, concreto, fisico, carnale. Plastico. Un mondo di mutazioni e nuove tecnologie ma non poi così diverso dal nostro.

La riflessione politica a questo punto si inserisce alla perfezione. Il potente aquisisce potere solo nella confusione. La sua arma è il sotterfugio, il suo credo è il possesso. In un mondo di confusione in cui non si sa più chi è buono e chi cattivo, dove si trovi la verità e cosa sia menzogna, la politica è in grado di fare quello che gli pare. Ma quando le maschere cadono allora i potenti finiscono per perdere tutto, diventano inutili e deboli: gli antagonisti Lori (Sharon Stone), Benny, Cohaagen e Richter (Michael Ironside) perdono il loro vantaggio una volta smascherati e da quel momento si trasformano in carne da macello. E a farli a pezzi è l'ironia con cui ci si libera di loro, quasi con leggerezza. E il buono vince, ma sarà vero o si tratta solo di un film, di finzione, come lasciano intendere le parole finali del protagonista, di fronte l'alba di una nuova era nel cielo di Marte?


Commenti

  1. Credo che pochi film mi abbiano scissa in due (e torniamo al dualismo, appunto) come questo Atto di Forza.
    Probabilmente l'avrò visto a 13 anni, dipende dalla prima volta che l'hanno passato in TV e ricordo soprattutto due cose da allora: l'ansia provata durante il finale e la terribile confusione nel corso della visione di un film così complesso, due sensazioni che mi avevano portato a definirlo "porcata" e ad evitarlo come la peste.
    Rivisto un annetto fa ne ho apprezzato il trash serpeggiante, la figura statuaria e folle del buon Schwartzy e tutto il bestiario mutante ma davanti alla tua analisi mi sa che lo riguarderò per apprezzarlo ancora di più!

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    1. Il lato trash è indiscutibile ma sto regista ha sempre avuto una visione del mondo particolarmente spiccata... anche quando ha fatto le peggio cose. Rivedilo e sappimi dire...

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  2. E se ti metti a nobilitare così le trashate.... :D Manco a metterlo in confronto con la sua nuova versione, se ne esce così bene!

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    1. Ma non si tratta di nobilitare, non ho mai visto la politica come qualcosa di nobile e Verhoeven è un regista politico. Che poi utilizza il trash per prendere in giro, ma quello è il modo migliore per fare politica dagli anni '90 in poi.

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    2. Verro politico e' nobilitarlo...;)
      Comunque..e' la piu' bella rece che ho letto di questo film,in tanti giri....Fai venir voglia di riabilitarlo.Maaaa....le tre tette, che significato politico hanno,famme capi'... ;DDD

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    3. Ma ora non fare quello che vuole vedere solo cio che vuole lui. Il senso politico del film è chiaro così come in Robocop o Fanteria dello spazio. Che poi è un senso sviscerato da 1984 (anche prima) in poi. Solo che Verhoeven è bravo a servirlo con un film caciarone, trash e divertente. Questo modo di fare satira deriva da Plauto, nulla di nuovo, solo che è raro nel cinema dagli anni 80 in poi. Il tema dell'identità è una variante di quello sviluppato da Dick, ma anche qui la resa visiva per essere un film del 90 è incredibile. Se poi non ti piace il film in se mi inizi pure a far paura :D

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    4. Verro e Plauto!!!!
      Quanto TVB.!

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  3. un film che io amo profondamente ,come tutto il cinema di quel pazzo furioso olandese.
    Sottotesti politici ce ne sono a bizzeffe,cruda azione,violenza e ironia.
    Un classico .

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    1. Beh, la confusione come mezzo per affermare il proprio potere non l'ha inventato Verhoeven, ma sicuramente è uno dei pochi che è stato in grado di parlare di politica in questo modo easy...

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  4. Supercult totale.
    E concordo con te: Verhoeven è politicissimo.

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    1. Tra l'altro è l'unico cinema politico che riesco a digerire, perché non prova ad essere intellettuale, anzi...

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  5. Verhoeven è un grande regista e anche secondo me è iperpoliticizzato e questo gli ha chiuso in faccia diverse porte altrimenti staremmo qui a parlare di un nuovo messia e non di un regista olandese sbarcato a Hollywood e ora costretto a ritornarsene in Olanda con le pive nel sacco.Sono anni che non lo vedo e dovrei rifarlo....

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    1. Peccato per alcuni buchi nell'acqua (L'uomo senza ombra, ad esempio). Comunque io l'ho rivisto pochi giorni fa in tv e sono tornato bambino...

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  6. Film fantastico e finale devastante, col suggerimento (appena suggerito) che si possa trattare tutto di un'enorme illusione. Il remake appiattisce tutto e ancora di più, davvero mediocre.
    Veroheven, TORNA! Si mormora che voglia dirigere il nuovo Conan... sarei parecchio curioso...

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