[Recensione] Upstream Color (di Shane Carruth, 2013)


Il cinema indi non è soltanto il cinema della libertà espressiva e della sperimentazione. Non è neanche solo il cinema dei budget risicati e dei cast sconosciuti. Il cinema indi è il mondo del self made, il cinema delle idee, la prova che non servono per forza grandi budget per fare dei bei film. Oddio, se ci sono i soldi tutto diventa più facile, ma non sono l'essenziale, nonostante quello che ci vogliano far credere. Ora, non voglio dire che bastano le idee a fare un buon film. Fosse così saremmo bravi tutti. No. Serve talento, abnegazione, capacità. Studio. Per metterle in pratica 'ste benedette idee ci vuole qualcuno che sappia quello che sta facendo. E non è detto che, anche in questo caso, il risultato sia univocamente eccellente. O buono. O accettabile. 

C'è un regista che qualche anno fa ha fatto parlare di se nel circuito indipendente. Si tratta di Shane Carruth, quello di Primer, film del 2004 a bassissimo costo (si parla di 7000 dollari) di cui lui fu praticamente tutto: regista, attore protagonista, sceneggiatore, produttore, addetto al montaggio, compositore della colonna sonora. Un film di fantascienza sui viaggi nel tempo. Immaginate: un film di fantascienza sui viaggi nel tempo girato con 7000 dollari. Carruth fece molto parlare di se allora divenendo paladino dell'underground, simbolo di un cinema fatto in casa dal fortissimo impatto, simbolo di un certo tipo di cinema che non spiega e che lascia che tutto fluisca. Ma non è di Primer che voglio parlare oggi: adesso preferisco parlare dell'ultima fatica uscita proprio l'anno scorso e passata totalmente sotto silenzio. Voglio parlare di Upstream Color (2013).



Kris è una ragazza che un giorno viene rapita e drogata tramita una larva (o un verme) che annulla la volontà di chi la ingerisce. Dopo essere stata derubata, Kris - che non ricorda nulla di quello che le è successo - incontra Jeff. I due sembrano innamorarsi, ma c'è qualcosa che li lega più del sentimento. Qualcosa che dovranno scoprire per poter continuare a vivere.

Riassumere la trama di un film come Upstream Color è difficile. Si tratta di una fantascienza che trascende la fantascienza. Nel senso che l'input fantascientifico è, appunto, solo un input. In realtà Upstream Color è un thriller e una storia d'amore. E' un film esistenzialista sulla solitudine. E' un dramma. 
Si parla poco, quasi per nulla. Ci sono lunghi silenzi interrotti da dialoghi ripetitivi, monologhi, follia. Si respira aria di Lynch ma non l'onirismo lynchiano. Si respira la poetica della carne di Cronenberg, ma ad un livello quasi mistico. E poi ci sono dei maiali. Non è facile comprendere un film come Upstream Color. Lo intuisci, più che altro. Lo vivi, ad un certo punto arrivi persino a subirlo. Ma non arriverai mai a capirlo fino in fondo, forse perché a Shane Carruth non interessava essere capito. E questo può essere sia un bene che un male.


Oggi, a qualche giorno dalla visione, non saprei ancora dire se Upstream Color mi è piaciuto oppure no. Ci penso e ci ripenso, ma non riesco ancora a decidermi. Sono troppi i punti oscuri. Di solito non do tantissima importanza a queste cose, la storia può anche passare in secondo piano. Ma questo film è talmente self made (anche in questo caso il regista fa tutto) da non avere una qualche specifica ricerca visiva. La fotografia è nichilista, il film è fantascienza applicata alla realtà, i meccanismi non vengono spiegati (un bene) ma il regista non fa nulla per portare lo spettatore a comprenderli (un male) perché non ci sono veri e propri indizi. Lo stesso montaggio diventa labirintico. E alla fine ci si perde. Alla fine ci si può sentire abbandonati. Alla fine la cosa veramente meravigliosa è una storia d'amore originalissima. Ed è su Jeff (Shane Carruth) e Kris (Amy Seimetz) che si basa davvero il film, sulla solitudine, sulle mancanze che entrambi vivono, odiano e di cui arrivano a nutrirsi. E alla fine il loro amore diventa, in un certo senso, amore per se stessi, l'unico modo per sfuggire al caos che li circonda (e che coinvolge lo spettatore, negandogli qualsiasi punto di riferimento).

Alla fine Upstream Color è un film che è possibile odiare e amare in ugual misura. Decidere sta agli occhi di chi lo vede. E alla sua capacità di accettare o meno questo tipo di pellicola. Io, forse, mi trovo ancora nel mezzo. 


Commenti

  1. io non mi sono ancora deciso a vederlo.
    mi spaventa un po', questo film indi...

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    1. E' un film difficile, non ho capito se persino autoreferenziale. Guardalo, alla fin fine si tratta di un regista da scoprire

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  2. Spaventa molto anche me: potrebbe risultare una figata, o scatenare una tempesta di bottigliate.

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    1. Sì, è un film difficile, ma come ho già detto è l'occasione per recuperare un regista interessante.

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  3. Film onirico senza senso che ce capisce e nun ce se capisce? Ci vado a nozze. Grazie per avermelo fatto scoprire

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    1. Non è senza senso, anzi, si capisce. Però non è un film facile. Per niente.

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  4. come ho scritto da ma all'epoca mi fece pensare molto anche a Malick, ma senza la sua pomposità autoreferenziale di To the wonder...mi pare che anche Upstream Coloro sia stato girato con pochissimi dollari...

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    1. Non ho pensato a Malick, sinceramente. Sì, pochissimi dollari e ancora una volta Carruth l'ha prodotto, scritto, girato, ci ha fatto le musiche, l'ha montato, ci ha recitato

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  5. Parole giuste, le condivido anche se alla fino io sono arrivato a dire che il film proprio non è mi è piaciuto, un esercizio di stile esagerato, autocompiaciuto dall'inizio alla fine nel suo ermetismo impossibile. :)

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    1. Sì, può piacere e non piacere allo stesso tempo. Anche io ho pensato ad un certo autocompiacimento però boh, non lo so ancora :D

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  6. Sono nella tua stessa situazione...ovvero non ho ben capito se mi sia piaciuto o meno! Davvero molto criptico, si fa fatica a comprenderne il significato. La sensazione è che voglia dire tantissimo, però poi ti ci metti a riflettere e resti abbastanza a mani vuote. Però è innegabile il fascino di un film del genere. meglio vederlo come un'esperienza sensoriale. Una bellissima esperienza. cito Carlos Reygadas: “Penso che la maggior parte di ciò che oggi chiamiamo cinema non sia cinema. È teatro filmato o, peggio, letteratura illustrata. Questo, credo, non è il vero cinema. Il cinema dovrebbe essere molto più vicino alla musica. La musica non rappresenta niente, vuole soltanto trasmettere un’emozione. Non significa niente. L’importante in un film è cosa prova lo spettatore, non la narrazione. Odio l’idea che un buon film debba essere una buona storia, come dicono a Hollywood. Questo vuol dire non lasciare libero il cinema” . Idea condivisibile o meno...ma rispettabile, che ben si adatta a questo Upstream Color.

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    1. Da un certo punto di vista posso essere d'accordo, dipende sempre da uno cosa cerca in un film. Grazie del tuo punto di vista

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