Land of Mine - Sotto la sabbia (di Martin Zandvliet, 2015)


TRAMANei giorni successivi la resa della Germania nel maggio 1945, un gruppo di giovani prigionieri di guerra tedeschi vengono inviati dalle autorità danesi lungo i confini della Danimarca con l'ordine di rimuovere più di due milioni di mine che i tedeschi avevano sotterrato nella sabbia lungo la costa. Con le loro mani nude i ragazzi sono costretti a svolgere questo pericoloso compito sotto la guida del sergente danese Carl Leopold Rasmussen (da wikipedia)

IN POCHE PAROLE: un film sugli orrori della Seconda Guerra Mondiale guardati da una prospettiva diversa, quella dei vincitori in fase post bellica, in cui si capovolge il senso etico e morale mostrando l'orrore della guerra "ribaltato", dal punto di vista dei danesi sul carro dei vincitori piuttosto che da quello dei tedeschi sconfitti. Per questo il film danese di Martin Zandvliet si pone come condanna drammatica degli orrori che l'essere umano si ritrova a commettere se giustificato da un senso di rivalsa morale che però non fa altro che nascondere il desiderio di rivalsa su chi prima era il più forte ed ora si ritrova ad essere il più debole. In altre parole, vendetta.

Land of Mine - Sotto la sabbia si rivela un film duro e complesso in cui si provano a mostrare meccanismi scomodi, quelli che rivelano la natura crudele dell'essere umano. Fa sua la prospettiva storica dei vincenti e ci parla di uomini nella più semplice della concezione di questo termine. Un dramma (post) bellico sviluppato quasi come un thriller, che costringe lo spettatore a restare costantemente col fiato sospeso in attesa che la situazione sfugga di mano, preda di un senso dell'orrore profondo che tenta di giustificare senza mai riuscirci. Nella calda cornice costiera di una Danimarca battuta dal sole di un nuovo giorno, giovani (e innocenti?) tedeschi prigionieri di guerra si consumano nel dramma di un compito ingrato, una punizione inumana quanto i crimini di cui sono stati accusati. Ma può l'odio vincere ancora una volta? Può soffocare quel sentimento di umana compassione che alberga in ognuno di noi? Sembra chiedersi questo Zandvliet (sia regista che sceneggiatore) in questo piccolo film indipendente che, per una volta, rinuncia allo sguardo freddo e asettico dell'Europa del nord e ci regala un frammento di vita in una rilettura storica sconosciuta ai più ma non meno violenta e terribile di quel che hanno sempre preferito raccontarci. 

LATI POSITIVI: una sguardo atipico su un argomento solitamente affrontato da punti di vista consolidati. Film indi dal comparto tecnico che ho trovato ineccepibile.

LATI NEGATIVI: forse si fa leva troppo spesso sul senso di orrore dello spettatore, tentando di tenerlo costantemente sul filo del rasoio. Per alcuni potrebbe rivelarsi un film ricattatorio dal punto di vista emotivo, più puntato sul sensazionalismo che sul senso storico/morale della vicenda.

APPROFONDIMENTO:

Che la storia la facciano i vincitori è un'ovvietà a cui spesso non diamo peso. E' vera e resta lì, tanto a salire sul carro giusto c'è sempre tempo. Alcune verità scomode le abbiamo potute tacere proprio in questa maniera. 
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, dopo la sconfitta della Germania, c'è stata una netta divisione tra buoni e cattivi. Gli sconfitti sono i cattivi mentre i vincitori i buoni, Da allora i tedeschi sono sempre stati guardati con sospetto. Anche adesso, con questa europa filo tedesca, il fantasma del nazismo aleggia su di loro. Se avessero vinto, probabilmente ora sarebbe il contrario e quella del nazismo sarebbe la bandiera sotto cui andarsi a identificare. Ma si sa, la Storia non si fa con i se e con i ma e qui rischiamo di scivolare nel campo del distopico, quindi lasciamo perdere. Resta comunque indiscutibile che, al termine della seconda grande guerra, siano successe cose su cui la gente, i governi, gli stati preferiscono tacere. Di una di queste cose parla Land of Mine - Sotto la sabbia, di 
Martin Zandvliet (2015)

Sotto il freddo sole della Danimarca, sulle spiagge bianche del nord europeo più estremo, giovani prigionieri tedeschi vengono usati come sminatori. Ragazzi giovani, a volte giovanissimi, costretti a scivolare sulla sabbia per disinnescare le mine antiuomo che i tedeschi hanno disseminato durante l'occupazione. "Meglio loro che noi", dice un giovane ufficiale con la freddezza di chi crede di essere dalla parte della ragione. Qualche venatura d'odio è ben percepibile, ma non ci sorprende: tutti odiano i nazisti. A ragione. Solo che non tutti i tedeschi erano nazisti, non tutti i tedeschi credevano in quel che stavano facendo, non tutti i tedeschi meritavano una punizione tanto spietata. Ma le cose stanno così, infondo: la ragione è sempre dei vincitori, sono loro a scrivere la storia. Così ragazzi che invocano ancora la mamma e che sognano solo di tornare a casa e avere una vita normale, sono costretti a disinnescare bombe a mani nude. E' ovvio che, in un contesto del genere, il peggio debba accadere.


E il peggio accade, ovviamente. Noi spettatori lo sappiamo, noi spettatori ce lo aspettiamo. Ci aspettiamo la violenza, ci aspettiamo la morte. Siamo consapevoli che prima o poi una mina esploderà. Se non succedesse sarebbe ridicolo. Ma non è tanto su questo che punta un film come Land of Mine. Piuttosto sono i meccanismi umani che interessano al suo regista e scrittore, lo sconosciuto Martin Zandvliet. Le dinamiche tra incarcerati e carceriere, tra un gruppo di giovani uomini e il sergente Carl Leopold Rasmussen, che con quell'odio dovrà fare i conti a più riprese.
Prigionieri sottoposti a condizioni disumane che devono donare la loro vita per colpe persino troppo grandi per poter essere pienamente comprese. Noi non sappiamo nulla di loro. Non sappiamo quale ruolo abbiano effettivamente avuto durante la guerra. Sappiamo solo che sono quasi bambini, addestrati superficialmente, a cui è stato promesso il ritorno a casa dopo che quel lavoro terribile sarà concluso. Ad osservarli, lo sguardo di un uomo maturo che ha vissuto (e sopportato) più di quanto avrebbe voluto, che non può fare a meno di provare disprezzo ma che, allo stesso tempo, capisce che tutto è relativo, che tutto deve essere guardato dalla giusta prospettiva. Che non ci vuole molto prima di diventare il tipo di mostro che tanto odia. 

E' su questo costante oscillare tra bene e male, giusto e sbagliato, colpa e perdono che Under Sandet (questo il titolo originale) va avanti. alternando momenti terribili e oscuri a quelli in cui la speranza risorge sullo sfondo. Un film che fa della potenza emotiva la propria arma lasciando da parte, per una volta, la proverbiale freddezza europea che però resta sullo sfondo. Un film che con lentezza ma, allo stesso tempo, con la forza dell'imminente, tiene i suoi spettatori sulla graticola, con il fiato sospeso quasi anch'egli fosse lì, tra le dune di sabbia e il mare. 

CONCLUSIONI: credo che Land of Mine sia un film difficile ma gestito per raggiungere il più ampio pubblico possibile. Un indipendente che si apre al cinema mainstream e che, per questo, forse rinuncia un po' alla propria identità. Ma funziona. Colpisce. Non lascia indifferenti. E visto l'argomento trattato, devo ammettere che non me lo sarei mai aspettato.

Commenti

  1. Non vedo un film decente da secoli.
    Questo, nonostante la pesantezza del tema si addica poco all'estate, conto comunque di vederlo presto. Ho bisogno di disintossicarmi da horror dimenticabili e commedie sceme che, per forza di cose, mi sto sorbendo :)

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    1. Credo che questo film possa assolvere al compito. Disintossicazione assicurata, almeno per una sera ;)

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