Pet (di Carles Torrens, 2016)


Tempo di recuperi di alcuni film dell'anno passato che non ho avuto l'occasione di guardare. E sì che c'è tanta roba che mi sono perso e tanta roba nuova da guardare di questo 2017 appena agli inizi, ma il rischio di accumulare film arretrati è troppo grande, soprattutto quando il tempo a disposizione è veramente poco.

Oggi tocca a Pet, horror del 2016 diretto dallo spagnolo Carles Torrens alla sua prima opera di un certo peso oltre oceano. Approdato nei cinema americani il 2 Dicembre scorso, Pet è un film che ha fatto il giro dei festival, presentato in anteprima nel Marzo del 2016 al South by Southwest e successivamente al Sitges, festival internazionale del cinema fantastico della Catalogna, dove ha vinto il premio per la miglior sceneggiatura.

Seth è un uomo solitario e un po' sfigato, imprigionato in una quotidianità squallida fatta di casa e lavoro. Seth però il suo lavoro lo ama: fa l'inserviente nel canile locale e accudisce i tanto da lui amati cani. Un giorno però, tornando a casa da lavoro in autobus, incontra per caso una vecchia compagna di scuola, Holly, la tipica ex-reginetta del ballo di cui lui era sempre stato segretamente innamorato. Scambiando l'incontro fortuito per un segno del destino, Seth comincia a rivolgere le proprie attenzioni al limite del maniacale verso la ragazza, che non pare prenderla particolarmente bene.


Non è affatto semplice parlare di un film come Pet. Non perché sia chissà quale capolavoro, né perché abbia un plot particolarmente contorto: semplicemente Pet non è il film che appare, sopratutto leggendo la mia striminzita e incompleta sintesi qui sopra. Sicuramente si tratta di una sorpresa in un panorama horror fatto di pellicole spesso tutte uguali, soprattutto quando trattano un tema come lo stalking estremo. Eppure no, quella di Torrens non è la classica pellicola basata su uno psicopatico che, innamorato folle di una donna, le riserva attenzioni poco gradite, la rapisce o la tortura. Per nulla. O, almeno, non è solo questo. E' quindi nella natura stessa di Pet essere un film sorprendente, che colpisce lo spettatore per una certa originalità con cui un tema stra abusato diventa qualcosa di, non dico nuovo, ma sicuramente diverso.

Quindi un applauso al regista e, sicuramente, un applauso ai due attori protagonisti (assoluti): lo hobbit Dominic Monaghan e la sorprendente Ksenia Solo, che praticamente reggono sulle loro esili spalle una pellicola non facile, che deve confrontarsi continuamente con il pericolo vaccata e con l'ombra dell'indagine psicologica banale e macchiettistica. Riuscendoci anche abbastanza bene.

Arrivati a questo punto, però, per poter parlare di Pet in maniera un attimino più approfondita serve un allarme SPOILER.

Pet è un film che parla di anime perse, anime ai margini, di gente intrappolata in una quotidianità che deve essere sublimata in qualche modo, pena la follia. E i folli sono proprio questo, sembrano volerci dire Torrens e lo sceneggiatore Jeremy Slater: gente che dalla realtà si distacca per poterla sublimare. Infatti tanto Seth quanto Holly si ritengono moralmente superiori rispetto agli altri, tutto questo per riuscire a sopportare una palese sensazione di inferiorità nei confronti del resto del mondo.


Seth, ad esempio, è un folle. Un folle buono, direbbe qualcuno, ma pur sempre uno fuori di testa. La sua palese bontà entra subito in contrasto con la sensazione che sembra trasmettere il suo personaggio, un'inquietudine che sfiora spesso e volentieri il raccapriccio. Per tutti questi motivi, Seth incarna il classico personaggio di cui ci vergogniamo, per cui nonostante la pena che ci fa non riusciamo a tenere le parti. Vorremmo solo che la smettesse, vorremmo solo che non facesse quello che fa perché ci mette assolutamente in imbarazzo. Questa sensazione di disagio che trasmette cresce con il procedere dei minuti, si accumula e diventa qualcosa di diverso, fino a trasformarsi definitivamente quando il nostro protagonista mette in pratica un piano apparentemente diabolico e rapisce Holly rinchiudendola in una gabbia nei sotterranei del canile.

Solo che Pet, come vi ho già detto, non è un film banale e quello che in qualunque altro horror del genere sarebbe potuto essere l'inizio della fine, in questo è solo l'inizio.

Guardando Pet fino a questo punto, infatti, ci siamo fidati solo della nostra esperienza (le passate visioni di film simili) e delle sensazioni trasmesse da Seth. Per questo la sterzata che il film prende è in grado quasi di tramortirci: tutto viene rimesso in discussione, tanto le motivazioni di lui quanto l'idea che ci eravamo fatti di lei. Perché quel che non sappiamo e che Seth invece sa è che, in realtà, Holly è una pericolosa seria killer. Gli intenti del ragazzo non sono quindi approfittarsi della ragazza ma guarirla, salvarla, redimerla attraverso la forza dell'amore. Tutto ciò però non rende Seth meno inquietante, semplicemente aggiunge delle dinamiche ad un meccanismo banale, trasformandolo in qualcosa d'altro e rendendo Pet non tanto un horror quanto una storia d'amore (malato), un film drammatico, romantico e crudele, splatterissimo, cinico e violento. Ma pur sempre un film d'amore.


Amore di cui il protagonista maschile ha bisogno (per essere compreso, per sopravvivere ad un mondo che non lo capisce) quasi fosse un animale addomesticato, e di cui la protagonista femminile si approfitta, nutrendosene per ottenere forza e per trovare senso in un mondo a cui può mettere ordine solo attraverso la forza. Sublimazione, come ho già accennato.

Ed è bello vedere come un'idea possa trasformare un horror collaudato, ripetitivo, scontato, in una spietata love story tinta di rosso e follia, spingendosi in un'analisi psicologica dei protagonisti assolutamente fuori dai canoni e spingendosi fino agli estremi di un film malato che però non ha paura di osare.

FINE SPOILER

Ed è proprio osando che Pet si guadagna la pagnotta, rivelandosi un horror atipico certamente non perfetto, ma in cui tutto torna e che vive grazie ai propri personaggi, colpendo duramente allo stomaco fino a un finale cattivo come pochi ma non rinunciando mai ad una dolcezza di fondo. Un lavoro interessante che, finalmente, osa.





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