Quando il cinema horror ti sbatte in
faccia film sopra la media, la tentazioni di incensarli ed elevarli
oltre gli effettivi meriti (nella stessa misura in cui essi stessi
si sono auto-elevati oltre ogni aspettativa) è sempre grande. Ed è,
secondo me, quel che è successo ultimamente con The Autopsy of Jane
Doe, film d'esordio in lingua inglese del regista norvegese André
Øvredal, conosciuto dai cineamatori di genere per aver girato nel
2011 l'interessante mockumentary Trollhunter.
Oppure sono io a capirci poco o niente,
cosa molto probabile, perché un po' in tutto il mondo si sono
esaltati per questo horror “old style”, sopratutto gli americani
(quasi ad averlo girato sia stato uno di loro) mentre io, pur
essendomelo goduto, ho trovato grosse difficoltà ad esaltarmi a
post visione. Sarà perché, nonostante sia stato girato da Øvredal,
il film è stato scritto da Ian Goldberg e Richard Naing, autori
televisivi da me non particolarmente graditi (Once – C’era Una
Volta o Terminator: The Sarah Connor Chronicles).
In effetti non è certo sullo script
che un film come The Autopsy of Jane Doe basa la propria riuscita e
c'è da dire che la gestione della storia mi è parsa piuttosto
stiracchiata, perdendosi nel momento stesso in cui i nodi dovevano
venire al pettine. Ma forse non è davvero quello il problema, quanto
la necessità di conciliare le due nature intrinseche di un progetto
come questo: quella di opera d'atmosfera e respiro europeo, legata ad
una tradizione radicata, e quella di stampo più frivolo, teen, quasi
televisivo, dal respiro corto e dagli spaventi facili.
In effetti la storia si presta: quella
di un cadavere ritrovato sul luogo di un pluriomicidio familiare e
dell'autopsia che ne consegue, attua a scoprire le cause della morte
e (eventualmente) l'identità della donna momentaneamente chiamata
Jane Doe. Immaginate quindi 100 minuti di pellicola quasi interamente
ambientata nel luogo dell'autopsia - che poi altro non è altro che
la casa del patologo Austin Tilden e del suo assistente Tommy,
rispettivamente padre e figlio, con solo 3 attori – di cui uno fa
il morto, la bellissima Olwen Kelly – e tanta atmosfera, quella
della casa isolata e degli strani fenomeni che (con)seguono i vari
esami sul corpo della bella malcapitata.
Due nature, dicevo, che si incontrano e
si scontrano, due anime ugualmente importanti e che concorrono
entrambe alla riuscita del film. Perché se infatti quella europea
rappresentata da Øvredal permette a The Autopsy of Jane Doe di
elevarsi sulla massa, quella “americana” gli permette di non
nascere e morire nel limbo delle tante (troppe) piccole produzioni di
cui nessuno si accorge, facendo l'occhiolino allo spettatore medio,
quello che va al cinema per ottenere spaventi facili, magari cullato
dall'idea di un sequel. Ma è proprio quest'anima che non interessa a
me e che, nel corso della visione, mi ha fatto storcere qualche volta
in naso.
Meglio specificarlo: questo è un
parere puramente personale. Non c'è nulla di oggettivo in quello che
sto scrivendo, si tratta di semplici sensazioni che, in quanto tali,
restano puramente soggettive. E la sensazione che ho avuto guardando
The Autopsy of Jane Doe è stata che il regista è dovuto scendere a
compromessi. La stessa idea di affiancargli due come Goldberg e Naing
mi fa protendere per questa ipotesi. A dirla tutta, ho l'impressione
che i due sceneggiatori siano stati il guinzaglio che la produzione
ha messo al collo del regista per dare al progetto una direzione
concreta: quella verso il grande pubblico. Credo sia questo il motivo
per cui, ad un certo punto, in quel vuoto cosmico che è la parte
centrale del film, Øvredal ci abbia messo del suo creando un vero e
proprio gioiello registico, d'atmosfera, con un occhio all'horror
europeo tra gli anni '70 e gli '80 (qualcuno ha detto Fulci?) e l'altro alla tradizione folkloristica medievale di matrice quasi
letteraria. Perché, ammettiamolo, tutta la parte centrale di The
Autopsy of Jane Doe è un riempitivo d'alta classe tra un inizio
praticamente perfetto (presentazione dei personaggi, introduzione di
un mistero, ambientazione claustrofobica, progressivo accumularsi di
informazioni) e un finale da fiato corto in cui i nodi vengono al
pettine, il mistero svelato e ci si apre a futuri orizzonti.
The Autopsy of Jane Doe è un film che
procede per accumulo, che non inventa nulla di nuovo ma ripropone i
classici topoi del cinema horror da oggi a quarant'anni fa con stile
ineccepibile ma anche con i soliti difetti, i soliti jump scare, le
solite strizzatine d'occhio agli appassionati. Questo non ne intacca
la riuscita ma, personalmente, lo ridimensiona. Resta un buon film
ottimamente gestito, pulito, senza sbavature, ma concepito per
“acchiappare” due diverse tipologie di spettatori. Ci riesce?
Certo, senza eccellere né da una parte, né dall'altra. Ma va
comunque bene così.
Mi è piaciuto abbastanza.
RispondiEliminaIl meh è solo per la scena finale-finale, troppo horror hollywoodiano con sequel in cantiere. :)
Ecco, esattamente. Che poi è quasi ammiccante/ironica, non mi è proprio piaciuta
EliminaCe l'ho in rampa di lancio: considerato che avevo adorato Troll Hunter, spero di non rimanere troppo deluso.
RispondiEliminaNo, non lo rimarrai affatto James
Eliminaesaltato no, però ad averceli sti horrorini :-)
RispondiEliminaEsatto, qui siamo molto sopra la media. Peccato che per me è un film castrato dal fatto di essere americano
EliminaSegnato. Ultimamente voglio horror e non trovo nulla di decente.
RispondiEliminaAllora vai tranquillo con questo ;)
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