COSA PENSO DEL FILM
Partiamo dal film e da quello che io
penso del film facendo quello che, essenzialmente, fa il regista
canadese Denis Villeneuve per tutti i suoi 116 minuti: procedere per
sottrazione. In tal modo non posso dire altro se non che Arrival è un
capolavoro. Ma non un capolavoro qualunque, non l'esaltazione della
bellezza di un film nella prospettiva in cui può piacere a chi lo
guarda. Intendo proprio capolavoro assoluto, che trascende il gusto.
Ve lo dico chiaramente: se avete visto Arrival e non vi è piaciuto,
è solo un problema vostro. E' legittimo, perfino comprensibile (ci
mancherebbe), ma resta un limite vostro, non del film. Con questo non
voglio definire Arrival un'opera perfetta, per me ha alcuni difetti
narrativi e un importante difetto concettuale, solo che è l'apice di
un certo modo di fare cinema, un certo modo di fare fantascienza –
nello specifico – e tutto quello che verrà dopo non potrà
prescindere da lui. Sempre che si parli di fantascienza “umana”.
Guardare quest'opera maestosa,
imponente, mi ha ricordato la musica di Miles Davis. Il grande
trombettista (musicista) statunitense aveva un certo modo di
intendere la musica e un modo particolare di intendere il jazz. Anche
lui, infatti, procedeva per sottrazione, senza accanirsi sulle note
ma concentrandosi sugli “spazi” tra una nota e l'altra. Sulle
pause. Sui silenzi. Per questo la sua musica colpiva allo stomaco –
anche della gente comune – piuttosto che solo all'orecchio degli
appassionati. Allo stesso tempo però le sue composizioni erano
matematiche. Tecniche. Non perfette, né geometriche, ma basate su
imprescindibili aspetti teorici. Ovvio: se vuoi sottrarre, devi
sapere quanto, da cosa e saper prevedere il risultato finale.
In Arrival, secondo me, Villeneuve fa
esattamente questo: conosce la teoria, conosce il tema, ha ben chiaro
quale sia il materiale di partenza, sa cosa vuole farne e quale
risultato vuole ottenere. Conosce bene la somma delle parti e può
agire su di essa. Quindi sottrae. Non accumula. Studia la geometria
della messa in scena e non somma indiscriminatamente momenti su
momenti per non lasciar respiro allo spettatore. Se la prende comoda,
invece. Scarnifica. Dilata. Rende il comparto tecnico funzionale, gli
effetti speciali ingredienti di un tutto, sfodera il colpo di scena
in maniera del tutto naturale, progressiva. Commuove fino a straziare
ma lo fa colpendo la testa, non lo stomaco, stimolando, facendo
riflettere lo spettatore. In tutto questo però non trascura la
storia di un genere intero, imprescindibile se vuoi fare sci-fi.
Non spinge mai sull'acceleratore, anche
quando il ritmo si fa più serrato. Il film però parte e procede in
modo inesorabile, fin dall'inizio folgorante per arrivare alla
chiusura finale del cerchio. Guardate Arrival è capirete subito
di cosa sto parlando. Vi perderete nei suoi silenzi senza per questo
permettervi di distogliere un attimo l'attenzione. Non è possibile
distrarsi con questo film e se a fine visione affermerete che è
noioso vuol dire che l'avete fatto, che non l'avete vissuto ma solo
subito. E vi sarete persi un importante pezzo di cinema, a
prescindere da quanto vi sarà piaciuto.
ARRIVAL E LA COMUNICAZIONE (può
contenere SPOILER)
Mi permetto, per una volta, di guardare
il film da un'unica prospettiva. Di analizzarlo da un unico punto di
vista, non solo quello che reputo più importante ma soprattutto
quello su cui credo di avere più voce in capitolo. Arrival è
un'opera di fantascienza che parla di comunicazione. Tra le specie.
Tra specie diverse. Non a caso la protagonista assoluta è Louise
Banks, una linguista chiamata dal governo degli Stati Uniti per
collaborare con i militari e risolvere una crisi internazionale.
Perché sulla Terra sono arrivati gli alieni su delle astronavi
sospese nei celi di molte nazioni diverse e i terrestri vorrebbero
comunicare con loro per capire cosa vogliono e che intenzioni hanno.
Solo che non lo sanno fare, perché gli alieni parlano una lingua
(ovviamente) sconosciuta.
Già questa l'ho trovata una scelta
bellissima: porre finalmente l'accento sulla comunicazione tra specie
diverse e distanti (probabilmente) anni luce una dall'altra. Distanza
che può essere colmata solo da una cosa: il linguaggio.
Ora, la domanda fondamentale che
bisogna porsi guardando Arrival è: cos'è il linguaggio? Ce lo
spiega la linguistica: è quell'insieme di suoni, gesti, movimenti ed
espressioni figurative (significanti) che ci permettono di
trasmettere un significato. Per molti però il linguaggio è,
limitatamente, la parola. Una parola esprime un significato (il più
delle volte) completamente arbitrario. La parola fuoco, ad esempio,
non ha nessuna correlazione con l'oggetto (il fuoco) in se. Ma come
si è arrivati alle parole? Ecco, bella domanda. Se un tempo si
pensava al linguaggio come ad un organismo “vivo”, in grado di
evolversi autonomamente, adesso lo si intende come meccanismo
artificiale che subisce determinate “spinte”. Per questo,
tutt'ora, il nostro linguaggio si trasforma, si evolve (o involve),
si arricchisce di vocaboli. Quando una lingua (quindi uno dei tanti
linguaggi verbali) non si evolve, non ammette queste trasformazioni,
muore. Quindi il linguaggio subisce mutazioni di vario tipo
strettamente legate ai modi e ai tempi in cui una specie vive.
Nell'epoca della globalizzazione, il linguaggio verbale (ma non solo)
cambia, si trasforma, diventa più complesso anche se noi lo
percepiamo come più semplice.
Cosa succederebbe però se arrivassero
esseri da un altro pianeta o un'altra galassia? Ci troveremmo di
fronte linguaggi diversi (non solo verbali), sistema grafico
sconosciuto, fonetica diversa, nel caso di Arrival diversa
conformazione dei rispettivi apparati. Se gli alieni infatti non
hanno la bocca, non possono emettere suoni labiali o alveolari o
palatali. Insomma, non possono nemmeno pronunciare le nostre parole.
Questa è un'ovvietà, la capirebbe chiunque, ma non i militari
americani (e probabilmente nemmeno quelli di altre nazioni) che prima
tentano con gli alieni una comunicazione di tipo verbale, poi
capiscono sia meglio affidarsi ad un professionista, uno che le
lingue le studia. Ed è qui che entra in scena Louise.
Louise (un'immensa e bellissima Amy
Adams), da brava linguista, è convinta che la lingua sia il simbolo
dell'evoluzione umana e, basandoci su quanto scritto poco più su,
questo modo di porla non è tanto lontano dalla realtà dei fatti.
Una visione del genere si scontra però con quella di Ian Donnelly (Jeremy Renner),
fisico teorico chiamato a collaborare con la Banks, convinto che il
grado dell'evoluzione umana sia definito dal livello scientifico. Si
tratta di due modi diversi di osservare la stessa cosa. Si tratta di
diverse prospettive che, in questo caso, arrivano a coincidere nella
visione che hanno della realtà gli alieni stessi, sorta di seppie
giganti che hanno portato la comunicazione a coincidere con la
scienza in un diverso stadio di coscienza, che li porta a trascendere
i concetti di tempo e spazio.
Per spiegare questa importante scelta
narrativa, in Arrival viene citata la criticata “ipotesi
Sapir-Whorf”, una teoria secondo cui non è il modo di pensare ad
influenzare il linguaggio ma il linguaggio a influenzare il modo di
pensare. Linguaggio che agisce sui pensieri e sul cervello umano,
quindi, portato agli estremi in un film che pone il linguaggio
grafico al livello di un'equazione in grado di ampliare la percezione
della mente umana. Linguistica che viene a coincidere con fisica. Grafico perché, ovviamente, è l'unico sistema
permesso tra le due razze, è l'unico modo per avviare un processo di
interazione: solo graficamente è possibile impostare un vocabolario
comune.
Eppure la comunicazione, in Arrival,
non è solo linguaggio. Assume anzi connotati universali nel momento
in cui acquisisce valore simbolico. La comunicazione che abbatte i
limiti comunicativi, la capacità che hanno esseri intelligenti di
interfacciarsi tra loro. Comprendersi e collaborare. Nel film di
Villeneuve, tratto dal racconto Stories of Your Life di Ted Chiang e
sceneggiato da Eric Heisserer, la comunicazione diventa simbolo del
vero senso della globalizzazione in un'epoca in cui lo stesso
concetto di globalizzazione viene messo in discussione. Perché
comunicare, anche quando a disposizione ci sono gli stessi vocaboli,
non è mai facile. Perché il fraintendimento è sempre dietro
l'angolo, perché noi umani, nella nostra imperfezione, siamo portati
a dare alle parole il significato di cui necessitiamo e non
quello effettivo. Perché siamo vittime di un relativismo che ci
spinge a guardare le cose sempre e solo dalla nostra personale
prospettiva. E allora gli alieni assumono un senso messianico nella
vicenda. Diventano portatori di uno strumento che ha come unico scopo
amplificare le percezioni, atrofizzate dallo stesso individualismo
che ci impedisce di comunicare in maniera totale.
Credo (ma potrei sbagliarmi) che
Arrival sia il primo film a concepire la fantascienza del linguaggio,
rendendo per la prima volta protagoniste le scienze umane e dando
loro dignità (meta)narrativa in un opera di genere. Basta solo
questo, per me, a renderlo un capolavoro assoluto.
Caspita, un articolo meraviglioso (veramente!) per un film immenso.
RispondiEliminaGrazie mille, credo questo film sia un vero capolavoro e spero almeno di avergli dato una delle tante letture interessanti.
EliminaGrandissimo pezzo, Frank.
RispondiEliminaPer un grandissimo film.
Grazie Ford, davvero un film immenso e per quanto mi riguarda persino rivoluzionario!
EliminaBella, bellissima analisi. Ammetto di aver un po' sottovalutato questo film ed aver scritto una recensione dettata dal momento, limitata alla prima impressione, invece di andare a fondo come hai fatto te. Complimenti davvero.
RispondiEliminaCredo che film come questi, che piacciano o meno, sollevino questioni interessanti. Sono poche le pellicole capace di solleticare i nostri intelletti, ormai.
EliminaBellissimo pezzo su di un film che ho trovato meraviglioso; mi ha colpita a tal punto che, al contrario di te, non sono riuscita a rielaborarlo a a scriverne come meriterebbe
RispondiEliminaTi capisco benissimo. Diciamo che io l'ho rielaborato dall'unico punto di vista che mi era permesso, quello linguistico.
EliminaOttima analisi. Dal punto di vista visivo Arrival è un film praticamente perfetto, Villeneuve è un maestro per quanto riguarda inquadrature ed atmosfere, e le interpretazioni dei protagonisti non sono da meno. Per un film che tratta tematiche simili l'amico Zinefilo mi ha consigliato qualche tempo fa Epoch (https://ilzinefilo.wordpress.com/2016/07/28/epoch-2001/), non sono riuscito ancora a vederlo ma sembra che ne possa valere la pena :)
RispondiEliminaNon lo conosco, credo proverò a recuperlarlo se il tempo me lo permette
EliminaGrandissimo pezzo!
RispondiEliminaMa per me, film enorme, anche se non un capolavoro...
Beh, io credo sia il primo film a fare della fantascienza del linguaggio e, in quanto tale, credo sia un capolavoro: effettivamente non ne avevo mai visti di così!
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