H.P. Lovecraft e l'orrore cosmico della quotidianità


Nei giorni scorsi ho finalmente concluso la lettura di uno dei fumetti che più mi ha appassionato in questi ultimi anni: sto parlando di Providence, di Alan Moore
Providence, come specifica lo stesso titolo, è un mastodontico lavoro che il Bardo ha dedicato ad uno dei suoi scrittori (se non LO scrittore) preferiti di sempre, ovvero H. P. Lovecraft. Ma "dedicato" non è forse il termine più appropriato: piuttosto l'ha incentrata completamente sul suo universo narrativo, arrivando ad un vero e proprio lavoro filologico (per quanto riportato al "fantastico" dell'opera di fiction) e decostruttivo. 

Non è questa però la sede che voglio dedicare a Moore e al suo ultimo capolavoro. Più che altro la lettura di Providence mi ha portato a fare determinate riflessioni sul Solitario di Providence e sulla sua poetica e per questo ho deciso di dedicare all'argomento un piccolo post. "Piccolo" perché parlare di Lovecraft necessiterebbe di uno spazio ben più consono e approfondito. Qui invece mi limiterò a piccole e ovvie considerazioni.

Partiamo col dire che H. P. Lovecraft ha cambiato il modo di intendere la narrativa fantastica e dell'orrore. La sua influenza ha permesso al genere di evolversi, ma questo non significa che lo scrittore abbia inventato necessariamente qualcosa di nuovo. Più che altro, ha fatto propri determinati intenti antecedenti e contemporanei al suo lavoro, tracciando una strada che poi è stata seguita dagli scrittori successivi. E non solo.
Forse la vera grandezza di Lovecraft è stata quella di epigono, di "ispiratore" di altri scrittori (e non solo) appartenenti alla sua cerchia di amicizie (e non solo). Sappiamo infatti dell'immensa rete epistolare che gli si era creata intorno, incredibile se pensiamo che il successo lo ha premiato postumo.


H. P. Lovecraft è stato un così detto "sfortunato". Prima perse il padre giovanissimo, poi la madre. La sua famiglia, ricca, perse tutti i proprio averi e il piccolo fu costretto a crescere da povero con i nonni prima e le due zie dopo. Debole di nervi, fu costretto ad una giovinezza infelice chiuso tra le mura della vecchia casa, impossibilitato ad andare a scuola, cresciuto culturalmente come autodidatta tra le polverose pagine della biblioteca di famiglia. Lovecraft crebbe quindi isolato, nevrotico, affetto da alcune malattie sociali e privo di qualunque inclinazione pratica. La quotidianità diveniva quindi, per lui, terrificante quando deragliava (per qualsiasi futile motivo) dai propri rassicuranti binari. Un terrore che fu capace di esorcizzare solo attraverso la letteratura. 

Oggi definiremmo H. P. Lovecraft un tuttologo. Appassionato di qualunque sapere, seppur da autodidatta riuscì grazie all'enorme intelligenza di cui era dotato a dominare la cultura in diversi e disparati campi, dalla letteratura alla storia, dalle scienze all'astronomia. E' fu proprio questo suo essere onnivoro che gli permise di sviluppare uno stile narrativo in grado di attuare una sintesi tra vecchio e nuovo. Non dobbiamo però dimenticarci del ceto sociale a cui inizialmente apparteneva, né del periodo storico (e del luogo) in cui viveva: Lovecraft rimase per tutta la vita un conservatore, basò il proprio pensiero sul determinismo materialistico (con molta elasticità, in taluni casi), abbracciò spesso e volentieri ideali che oggi definiremmo razzisti e classisti. Eppure, nonostante ciò, nulla impedì alla sua mente di effettuare veri e proprio voli pindarici. Voli che, per natura della sua forma mentis, egli preferiva relegare a un vero e proprio universo onirico. Da qui l'ambivalenza che ha sempre contraddistinto la sua produzione letteraria tra letteratura/sogno. Sogno che, infiltrandosi nella realtà materialista, la mutava e tentava di consumarla nel vano proposito di sostituirsi ad essa.

Da qui nasce, forse, l'orrore cosmico lovecraftiano. Ma andiamo con ordine. 


La realtà, nelle forme caotiche della mutevole quotidianità, terrorizzava lo scrittore di Providence mettendo in dubbio la concezione di rassicurante determinismo attraverso cui guardava il mondo. Per esorcizzarla, l'unico atto pratico che fu in grado di attuare fu la traslazione letteraria. Lovecraft però non arrivò mai a confondere i due mondi, quello reale dominato dal materialismo e quello letterario/onirico dominato dal caos sovrannaturale. Il suo sguardo artistico, anzi, era guidato da un atteggiamento quasi analitico se non addirittura scientifico sul materiale a cui lavorava. Per questo motivo l'orrore cosmico che travalica la realtà così come la conosciamo, ha origini precedenti alle stesse strutture archetipiche che storicamente riconosciamo nelle tradizioni religiose, classi(cisti)che e folkloristiche. E' un orrore che trascende il conosciuto, ma lo percorre alle radici. Lo sconosciuto che, se potesse essere analizzato con gli strumenti adeguati, otterrebbe una spiegazione scientifica. Solo che, appunto, l'uomo non possiede tali strumenti e nell'affrontarlo diviene preda dell'atavico terrore per l'incomprensibile.

L'orrore diventa allora un orrore d'atmosfera: Lovecraft crea un vero e proprio universo narrativo da sostituire all'ordine reale, che lo influenza ma che non può mai essere svelato appieno, pena dissolvere il sipario che lo nasconde. Ed è proprio in quanto indeterminato che quest'orrore agisce sulle menti delle persone, tanto del lettore quanto dei protagonisti. In realtà sono questi ultimi ad interessare a L.. Sono gli effetti dell'inesprimibile e dell'inconcepibile sulla loro vita, che poi portano alla follia o al suicidio, a terrorizzare. Quasi la ferrea struttura razionale della letteratura, della lingua e della parola, abbiano il potere di divenire virali condizionando la mente di scrittori e autori. Divenendo, in un certo senso, magia. 


Ed ecco qui uno degli apporti massimi che l'opera di Lovecraft ha offerto al genere. Quello di superare il gotico e le forme ormai cristallizzate della letteratura horror sostituendo alla figure classiche o folkloristiche (che siano esse fantasmi o vampiri, ad esempio) mostri insondabili perché troppo lontani da noi, tanto fisicamente quanto metafisicamente. Ripeto: non è tanto un Cthulhu o un Dagon a spaventare quanto la difficoltà nel poter essere da noi concepiti (che li rende, appunto, divinità a nostro confronto) e razionalizzati o gli effetti pratici, materialistici, che il culto di tali creature ha sull'umanità, portando l'uomo a comportamenti terrificanti che il conservatore, il razzista H. P. vedeva come abbietti, degradanti, terribili. L'ignoto, quindi, di cui non possiamo (non dobbiamo) sostenere lo sguardo e i suoi effetti materiali che dall'universale (l'orrore cosmico) arrivano a influenzare la realtà percepita (l'orrore quotidiano). 

Probabilmente, fosse vissuto di più, avremmo avuto nuovi imprevedibili sviluppi in questa poetica che però ha condizionato intere generazioni di scrittori ma anche di cineasti e musicisti. Ad esempio avremmo avuto opere che al fantastico avrebbero visto subentrare il fantascientifico. Eppure, grazie alla sua personalità weird (e ricordiamo il grande valore che ebbe il weird per Lovecraft nella sua opera) il nostro riuscì ad attirare nel proprio circoletto fior fiori di personalità letterarie che (r)accolsero la sua eredità facendo in modo che il virus letterario si espandesse. Arrivando fino ai giorni nostri, permeando la nostra cultura (e non solo quella) e riuscendo ad assurgere allo status di "pop". Incredibile se pensiamo che il "popolare" non era gradito a Lovecraft. E mi chiedo ancora, se potesse essere qui oggi, come lo scrittore reagirebbe a tutto questo.

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