Twin Peaks: The Return e la televisione che cambia.


AVVISO: HO SCRITTO UN POST COSì LUNGO CHE HO DECISO DI DIVEDERLO IN DUE. OGGI PUBBLICHERO' LA MIA OPINIONE SULLA SERIE E LA MIA ANALISI. DOMANI DARO' INVECE LA MIA INTERPRETAZIONE, A PARTIRE DAL FINALE. 

"Nell’oscurita di un futuro passato il mago desidera vedere". E’ secondo me in questa frase cardine (parte di una sorta di filastrocca) che è nascosto il senso ultimo e totale di Twin Peaks. E quando scrivo Twin Peaks, intendo tutto il suo universo: le prime due stagioni anni ’90, il film prequel Fuoco Cammina Con Me, i libri e la terza stagione andata in onda durante questo 2017, Twin Peaks: The Return.

Twin Peaks 2017. Twin Peaks 3. Twin Peaks: Il Ritorno. Tre modi per definire la stessa cosa, ma solo il terzo è corretto, perché l’ultima stagione del capolavoro ideato da David Lynch e Mark Frost in realtà ha una forma tutta sua che esula da quella tipica degli standard televisivi, tanto attuali quanto del passato. TP3 (lo chiameremo così per comodità), piuttosto che un serial girato per il piccolo schermo, è un lungometraggio di 18 ore circa suddiviso in 18 parti che, attraverso un atipico stile di montaggio, divengono delle tessere di un puzzle inserite in una struttura “architettonica” di matrice chiaramente decostruttivista.   


Ora, cos’è il decostruttivismo architettonico? Una sorta di corrente o stile in cui gli elementi di una struttura perdono la loro tipica natura funzionale e formale dando vita a forme che permettono il riemergere dell’astratto in quello che potremmo definire addirittura un atto ribelle, sperimentale.
Allo stesso tempo, da un punto di vista "narrativo", Lynch attua un processo decostruttivo di derridiana memoria, annientando il senso stesso di sistema unificato, mostrando ogni elemento com'è per se stesso, per come si mostra, al di fuori del contesto in cui si trova (da qui l'annientamento dei concetti di identità, di spazio e di tempo). 
Ecco, non è proprio questo che è avvenuto in TP3? Guardando questa serie sotto quest’ottica, possiamo quasi percepire l’enorme impatto – per molti versi ancora incompreso – che essa avrà sul modo di fare televisione nel futuro. Tutti gli addetti ai lavori dovranno farne i conti, volenti o nolenti, e questo a prescindere dal risultato finale: il nuovo Twin Peaks potrà piacere o meno, fare schifo, essere criticato, capito, compreso o esaltato. Analizzato e distrutto. Ma resterà a tutti gli effetti qualcosa di mai visto prima. E questo lo rende, in un certo senso, privo di termini di paragone con qualunque altra cosa mai realizzata per il media televisivo. 

Perché sì, non dimentichiamo che TP3 resta un prodotto televisivo e come tale va considerato. 

Lunedì 4 settembre, alle ore 2:00 italiane, è andata in onda la season finale. Molti l’attendevano con ansia, soprattutto chi dai 16 episodi (sorry, parti) precedenti era stato parzialmente deluso. Ci si aspettava la quadratura del cerchio, la risoluzione dei misteri o, per lo meno, di percepire il senso ultimo di un’opera che a tratti risultava sconclusionata. Le parti 17 e 18 avrebbero dovuto, insomma, fare in modo che TP3 apparisse come un lavoro compiuto. Solo che ciò non è accaduto. O almeno non nel modo in cui molti speravano.


In realtà però TP3 ha un finale, chiaro e (im)perfetto. La linea narrativa principale (il tronco) si conclude con l’episodio 17 e appare abbastanza coerente nel suo essere specchio e critica della serialità contemporanea. La stessa che David Lynch e Mark Frost avevano contribuito a fondare nell’ormai lontano 1990, ma che negli ultimi anni è molto cambiata. Ho riflettuto tanto su questo e sono arrivato a una conclusione: la televisione sta cambiando perché deve cambiare e, nonostante il debito infinito che molti autori continueranno ad avere nei confronti di Lynch e Frost, sono state tentate nuove strade, non tanto narrative o visive quanto concettuali o formali. Penso a serie come Black Mirror, Sense8, per certi versi anche a Tredici. Poi, ad un tratto, arriva Lynch e viene fatto quel che nessuno era riuscito a fare (o aveva avuto il coraggio): un atto di “rottura”. E fa un po’ ridere pensare che se 25 anni fa le ingerenze del network avevano contribuito a creare/distruggere il fenomeno Twin Peaks, oggi la massima libertà di un regista ha distrutto un mito, decostruito una categoria e creato nuove basi concettuali per interpretare e intendere il media. 

Questo intento è percepibile in maniera definitiva nella parte 18, che per certi versi potrebbe essere presa come un film a se. 

Ma quindi, secondo me, TP3 è bella o brutta? Partiamo dal presupposto che per me non è il flop che tutti dicono, né l’opera senile di un grande artista, né un qualcosa sfuggito di mano. E’ certamente impregnato di egocentrismo nella stessa misura in cui ogni suo aspetto sia voluto e cercato. Chi pensa che Lynch sia andato alla cieca, non ha colto la coerenza di fondo. Poi è ovvio, proprio per questi motivi può non piacere o fare schifo. Nulla di male, ci sta. A me, personalmente, è piaciuta. Anche io ho provato ansia, rabbia e frustrazione al termine della serie, ma guardando al percorso nella sua interezza posso ritenermi soddisfatto. Ritengo anche che questo sia il capolavoro di David Lynch, nel senso di apice della sua carriera, al pari di INLAND EMPIRE. Diversamente quindi da Mulholland Drive che per me è un capolavoro in senso assoluto. Quindi bene, sì. Ma non benissimo. 


Due cose non mi sono piaciute di TP3.

La prima è la sconclusionatezza di molte linee narrative. Viene messa tanta carne al fuoco; non solo ogni puntata nuovi misteri, ma soprattutto nuovi personaggi, nuove relazioni, nuove storie. La maggior parte di queste vengono lasciate in sospeso. Ora, io sono il primo a cui non interessa uno sviluppo narrativo tradizionale. Puoi anche scegliere di non raccontarmi nessuna storia. Ma se introduci una linea narrativa devi poi portarla a conclusione. Non mi interessa nemmeno come. Basta anche il solo “mostrare” piuttosto che il “raccontare”. Ho più volte definito le storie di TP3 rami convergenti in un tronco (in maniera inversa alla serie classica). Beh, in questo caso è come se questi rami fossero stati improvvisamente tagliati. Ho sempre creduto che ogni elemento debba essere funzionale, ma non ho trovato nessuna funzionalità in molte linee narrative, neanche prendendole come storie a se. L'unica "soluzione" sarebbe poter ottenere delle risposte dal nuovo libro di Mark Frost (The Final Dossier) in uscita tra un mesetto o due. In quel caso si arriverebbe a trascendere persino i confini mediali e... non so, dovrei pensarci se una cosa del genere potrebbe convincermi o meno.

La seconda cosa è che gli appigli che Lynch lascia allo spettatore per poter decodificare a modo proprio quanto mostrato sono abbastanza cedevoli. Ho letto tante, varie teorie e molte mi sono sembrate plausibili, ma poi ho sempre trovato elementi che non riuscivo ad inserire. Me ne sono fatta una anche io, ma per costruirmela e mettere a posto i pezzi sono dovuto ricorrere a elementi di altre opere lynchiane: Strade Perdute, Mulholland Drive e INLAND EMPIRE. Trovo però concettualmente scorretto dover cercare chiavi di lettura in elementi estranei all’universo Twin Peaks: mi va bene far riferimento a serie storica, film o libri, ma non a film tecnicamente estranei a quell’universo narrativo.


Nonostante questi (per me gravi) difetti, TP3 è un prodotto immenso, che condensa tutta l’arte e la poetica del Maestro divenendo persino meta-televisione e abbattendo la quarta parete. Arte. Credo sia la prima volta che l’arte arriva in Tv in questa maniera. Non solo pura tecnica, a partire dalla composizione delle scene passando al sonoro e alle musiche, ma veri e propri quadri in movimento. Per questo la scelta di effetti speciali retrò, che fondono analogico e digitale in stile addirittura nostalgico, spesso volutamente grezzo, sono funzionali alla serie. E poi c’è la potenza immaginifica, che ti si schianta addosso e ti fa a pezzi, accompagnata dalla forza critica (sociale e artistica, tecnologica e morale). Per poi concludere con il sentimento. Ce n’è tanto di sentimento. TP3 è in grado di commuovere, far ridere, spaventare, intrigare, annoiare, far incazzare, nauseare. L’unica cosa che non è in grado di fare è lasciare indifferenti. E lo sapete anche voi, voi che state leggendo, a cui giustamente non è piaciuta. Voi, che avete tutto il diritto di incazzarvi o di essere delusi: lo sapete che avete assistito a qualcosa di unico, che non dimenticherete facilmente. Abbiamo a che fare con qualcosa di talmente grande da dove fare i conti non tanto con le sue dimensioni, quanto con gli effetti che ha 8e avrà) su quel che lo circonda.


Commenti

  1. Condivido con te la critica alle trame lasciate in sospeso: una scelta il cui senso, per ora, mi sfugge davvero. Tina, Billy, Ruby e altri di cui sappiamo il nome solo tramite i credits... Non ho idea del motivo di ciò: lo capiremo tra qualche tempo? Chissà.
    Ma intanto...

    Moz-

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    1. O arriva il libro di Frost in nostro soccorso o mi sembra difficile che quelle storie troveranno mai una conclusione. Vediamo e un po' speriamo.

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    2. Chissà, chissà. Un altro paio di mesi e lo scopriremo^^

      Moz-

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    3. O forse si aggiungeranno nuove domande XD

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  2. Buonissima analisi, anche se non concordo quando dici:" Trovo però concettualmente scorretto dover cercare chiavi di lettura in elementi estranei all’universo Twin Peaks".
    Certe scelte registiche, molto simili a IE o MD, portano per forza di cose a confrontare l'universo di Twin Peaks con quelli delle altre opere di Lynch.
    Sin dalla prima puntata di TP3, ho avuto l'impressione che nella costruzione dei significati, Lynch volesse utilizzare ii "linguaggi" della sua arte, dei suoi film, del cinema che ha sempre amato, perfino gli avvenimenti della storia americana.
    Detto in parole povere, è come se il regista (anche lui, the dreamer) utilizzasse alcune scelte (anche alcuni volti di attori, per esempio) per costruire l'universo di Twin Peaks.

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    1. Concordo con te, ma personalmente ho intravisto riferimenti e rimandi tra le opere che a me sono parsi puri esercizi di stile. Che ci può stare, ma quando divengono propedeutici alla comprensione dell'opera (e io così li ho trovati, ma potrebbe essere stata solo una mia lettura) allora proprio non mi piacciono. De gustibus? Può darsi, solo perché non esiste una spiegazione (giusta o sbagliata) a TP. Grazie del commento.

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