Raw - Una Cruda Verità (di Julia Ducournau, 2017)


Crescere è doloroso, lo abbiamo capito. Diventare adulti fa male, non solo emotivamente. Certe cose sono inevitabili, ma non vuol dire che sia ossibile farle diventare piacevoli. Crescere, con le dovute eccezioni, non lo è mai. Il cinema, su questo processo, ci ha marciato parecchio, soprattutto quello horror. Però credo pochi film lo abbiano fatto con l'eleganza e la potenza di Raw.
Raw è doloroso. Raw ti calpesta. Non lo riguarderò mai più, credo. Raw mi ha rivoltato come un calzino. Di questo devo ringraziare Julia Ducournau, sceneggiatrice e regista alla sua opera prima. Ha la mia età, Julia. Forse anche per questo è riuscita ad arrivarmi dritto allo stomaco. Lo stomaco è il mio cervello, quando si tratta di cinema. Non ragiono facendo funzionare le sinapsi, quando guardo un film. Ragiono attraverso le emozioni. Tutto il resto arriva dopo, ma ha poco a che fare con quanto un film mi sia piaciuto o meno. Comanda lo stomaco, ha ragione lui. Quando guardo un film, io ragiono con le budella.


Non mi piace essere calpestato, né fisicamente, né emotivamente. Eppure il dolore ha sempre qualcosa da insegnarti: certe volte è l'unico modo per parlare con se stessi. Raw ti parla di come si cresce e di quale effetto fa. Di merda, lo sapete già. Ma la cosa meravigliosa è che Raw lo fa in maniera assolutamente originale, travestendo un film drammatico da horror. La storia di Justine, un'adolescente al suo primo anno di college in un'università di veterinaria. Una ragazza timida e intelligente (la classica secchiona) che suo malgrado deve fare i conti con un nuovo ambiente, nuove amicizie e, soprattutto, nuovi e sconosciuti impulsi, metaforizzati nella scoperta dei sapori della carne. Questa volta non in senso figurato, però: si tratta proprio di carne e dell'approccio verso di essa di una ragazza cresciuta come vegetariana. 

Già che il significante e il significato si fondano e confondano rende questa opera prima francese una grande opera prima. Raw gioca con i simboli e la cosa mi ha colpito profondamente. Una delle prime scene prevede un letterale bagno di sangue da parte della protagonista, scena che si rivelerà profetica in senso figurato, perchè non sarà il sangue il leitmotiv del film. Tutt'altro. La carne sarà il mezzo, processo di carnalità che si riverserà sulla psiche della protagonista e dello spettatore. La violenza di Raw è emotiva, più che fisica. Un po' come l'amore. E infatti Raw parla anche d'amore. Raw è una storia d'amore: quello tra un uomo e una donna, quello tra due sorelle. Quanti piani di lettura che si intersecano, ma con un rigore stilistico che tende alla sottrazione tranne che in determinati momenti chiave, che per questo esplodono prepotentemente riuscendo persino a disgustare. Noi osserviamo, guardiamo, spiamo. Justine è la vittima sacrificale sull'altare del nostro voyerismo. Un voyersimo atipico, perché per tutto il film non facciamo altro che guardare dentro noi stessi e inorridire. Inorridiamo di processi naturali che di naturale, ai nostri occhi, non hanno assolutamente nulla. Come potrebbe mai essere naturale qualcosa di tanto spietato? 


Alla fin fine torniamo, ancora una volta, di fronte al film adolescenziale. Vestito d'adulto in una finzione che accettiamo perché in grado di preservare la nostra sanità mentale. Ci travestiamo di intenti, ci mascheriamo di compromessi. E' quello l'unico modo che abbiamo per accettarci. Julia Ducournau ce lo speiga in  maniera estremamente poetica, con pochissime cadute di stile. La poesia carnale che procede per immagini e che si riversa su di noi scarnificandoci. Bene, se arriverete a sfiorare questa consapevolezza, il film non potrà non piacervi. Poi magari, anche voi come me, vorrete non guardarlo mai più, ma intanto Raw sarà riuscito nel proprio intento.

Se invece volete splatter e gore, se volete gingillarvi con il solito film estremo per poter dire di aver visto l'ennesimo film estremo, lasciate perdere: Raw risulterebbe noioso, poco incisivo, sicuramente deludente. Ma da queste parti le cose narcisisticamente e inutilmente estreme non sono mai le benvenute. 

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