A Quiet Place - Un posto tranquillo (di John Krasinski, 2018)


Il silenzio fa paura. Non so per quale motivo, spesso - troppo spesso - lo associo al buio e penso che queste due cose, insieme, siano terrificanti. Cose che, tra l'altro, io amo profondamente. 
Premi l'interruttore, la luce si spegne. Seduto in poltrona, riesci persino ad ascoltare il suono che fa il tuo cuore mentre batte. E' spaventoso, ti dici. Spaventoso. 
Ma il potere del cinema horror, secondo me, non è solo quello di "spaventare". La paura va al di là del puro e semplice spavento. Immerso nel silenzio, mentre il cuore rimbomba, non è quello ad annichilirti l'anima: è la sensazione che quel silenzio ti sia entrato dentro, strappandoti via tutto. A quel punto basta una parola, una sola pronunciata ad alta voce per infrangere il terribile incantesimo. 

Allora pensiamo a un silenzio perenne, totale, uno di quelli che non solo annienta le parole attorno a te, ma soprattutto quelle dentro di te. Ecco, quello è l'orrore. E un film come A Quiet Place vive, si nutre e suscita questo sentimento.

A Quiet Place - Un posto tranquillo. In un mondo annientato da terribili creature attirati dal rumore, una famiglia vive nel silenzio della loro casa fuori città. Siamo nel 2020. La famiglia Abbott sembra una famiglia come tante. Peccato che la situazione innaturale in cui vive, immersa nel silenzio, sia destinata a infrangersi.


La bellezza di un film del genere sta nell'assoluto di partenza: noi dipendiamo dal rumore. Se lo togli forzatamente, se lo cancelli con un atto di costrizione (un atto di violenza) ci immergi in una condizione innaturale. Il mondo è quello, lo conosciamo. Magari è la strada che percorriamo ogni giorno, il ponte che attraversiamo in auto, il supermercato in cui facciamo la spesa. Solo che, immergendolo in un silenzio innaturale, cambia e per abituarci a esso dobbiamo fare uno sforzo. Uno sforzo enorme. A Quiet Place evita noi di subire questo cambiamento e ci pone di fronte il fatto compiuto. Ma lo sforzo che compiono i protagonisti resta e noi ne vediamo gli effetti. Fa paura. Non una paura da balzo sulla sedia, intendiamoci. La paura di qualcosa che non è come dovrebbe essere e che per conservare (per auto-conservarci) dobbiamo non solo accettare, ma dobbiamo persino adattarci ad esso. La paura non di quello che è, ma di come quel che è agiusce su di noi, privandoci della libertà di essere quel che siamo: dipendenti. Da qualunque cosa. Nel film co-scritto e diretto da John Krasinski però la dipendenza di cui parliamo è assoluta, perché noi esseri umani siamo fatti per il rumore: nel rumore nasciamo (quello del nostro pianto e delle nostre urla), cresciamo e viviamo (dandolo per scontato). La cosa terribile però è che spesso muoriamo nel silenzio. Ed ecco: il silenzio è morte, a volte. La morte è silenzio eterno. 


Se ribaltiamo questo dato di fatto, notiamo la grandezza di A Quiet Place. Che del resto è un film atipico. quasi senza dialoghi "parlati", parte col botto, poi si assesta su standard atipici per il cinema horror, infine esplode. E quell'esplosione ti travolge in un turbine di sentimenti e azione, fino a trasformare quel "posto tranquillo" in un inferno. Che poi, il titolo stesso gioca con lo spettatore: la terra "post-apocalittica" di A Quiet Place è tutt'altro che tranquilla. 

Altro ribaltamento sta in come i protagonisti (una famiglia) agisce. In come quattro persone comuni in una situazione non comune a cui hanno finito per adattarsi, si comportano. Perché alla fine in questo film ci troviamo di fronte a una situazione come tante del cinema horror e non solo: mostri contro umani. Solo che, in maniera adattiva, gli Abbott si oppongono ai primi in modo passivo. Gestire un horror in modo tanto atipico ti costringe a fare delle scelte e quelle che compie Krasinski sono perfette. Non ci voleva niente a mandare in vacca A Quiet Place e invece il risultato è di rara eleganza e sensibilità. Merito anche di personaggi ritratti in maniera talmente umana da risultare credibili (e toccanti) in una situazione tanto incredibile. Allora tu, spettatore, inizi a tenere per loro, a preoccuparti, a fare il tifo. A lasciarti sulle spine. E la loro paura diventa la tua. Bum, ecco fatto. La paura. Il silenzio. Abbiamo uno degli horror dell'anno. 

Commenti

  1. Piaciuto moltissimo, nonostante il troppo mostrare alla fine.
    E sarà che al cinema da solo, con la sala mezza vuota per lo spettacolo pomeridiano, mi ha messo talmente tanta tensione addosso da desiderare che finisse presto. Per amore dei miei nervi.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Era proprio quello che intendevo: un film tesissimo che sfrutta il silenzio per produrre una paura atavica. Comunque si sta già parlando di un sequel!

      Elimina
  2. Spero di riuscire a recuperarlo quanto prima.

    RispondiElimina
  3. un film sorprendente, che ti regala nuove sorprese e grandi brividi ^_^

    RispondiElimina

Posta un commento

Info sulla Privacy