Masters of Horror e Cigarette Burns di J. Carpenter (2005)

"Le 'bruciature di sigaretta' sono una caratteristica tecnica dei vecchi film, dei cerchi neri, simili a delle bruciature, che in un paio di fotogrammi appaiono durante la proiezione, segnalando così a chi metteva le pellicole quando la bobina stava terminando e si doveva sostituirla." (Wikipedia)

"L'horror è un genere in crisi". Quante volte questa frase è stata scritta o detta dal giornalista, dal recensore o dallo spettatore di turno? "L'horror è morto", "l'horror non vende più", "non c'è più nulla di originale nell'horror". Non che sia del tutto falso, sia chiaro, ma non è neppure tutto vero. Non è, infatti, il genere horror ad essere in crisi, ma la sua industria.
Troppi film. Tutti uguali, tutti assolutamente innocui. Il remake, il remake del remake, il sequel, il sequel del remake. E mentre registi senza talento, più o meno giovani, si accalcano al guinzaglio degli studios o di produttori, i registi veri, quelli con talento, producono film a basso costo, nel buio dei loro scantinati, sognando, un giorno, che qualcuno li noti. Magari ad Hollywood.
Eppure è stato proprio il "basso costo" l'ambito dove, in passato, sono stati prodotti i maggiori capolavori del genere. Carpenter, Raimi, Romero, Hooper, è da lì che vengono ed è lì che sono nati.
E' vero, qualcuno si è perso per strada, qualcun altro si è dedicato ad altri generi, qualcuno ancora non è riuscito a ripetere, dopo un inizio folgorante, la magia dell'esordio. E intanto l'industria è cambiata, i tempi sono cambiati e con i tempi i gusti di un pubblico sempre più incontentabile e col paraocchi.
Forse è per questo, forse solo per motivi economici, che un giorno questi grandi maestri si sono svegliati e hanno deciso di scendere di nuovo in campo. E forse è così che è nato quel progetto denominato Masters of Horror, che tanto successo ha riscosso e continua a riscuotere, tra gli appassionati del genere e non.

Masters of Horror è una serie di medio metraggi televisivi con chiaro riferimento ai b-movie di una volta, diretti dai più famosi registi del settore (i Maestri dell'Orrore, appunto).
Fino ad ora ne sono state prodotte due stagioni, e tra i protagonisti della prima c'è John Carpenter, director dell'episodio forse meglio riuscito, ovvero Cigarette Burns (2005), conosciuto in Italia col titolo Incubo Mortale.

 
Cigarette Burns è la storia di Jimmy Sweetman, detective sui generis, ricercatore a pagamento di pellicole rare, alle prese con la sua ultima fatica, le indagini affidategli da un ricco collezionista su un film maledetto dal titolo La fin absolue du monde in grado, tramite l'uso di messaggi subliminali, di far impazzire chiunque lo guardi scatenando violenza e morte.
La ricerca, da prima accettata unicamente per i motivi economici, diviene via via un viaggio da incubo nei meandri della mente (e dell'anima) del protagonista.
Si avvisa il lettore che con il proseguire della lettura potrebbe incappare in spoiler e anticipazioni sulla trama del film.

La bellezza di Cigarette Burns è innanzitutto nella sua fedeltà a certi stilemi e determinate tematiche care al regista americano. Al di là del fascino visivo e della bellezza stilistica, è un tassello importante della filmografia di John Carpenter e necessita di un'accurata conoscenza di quest'ultima per poter essere apprezzato al meglio.
Di base c'è una ricerca, in questo caso quella di un film perduto, ma che ricorda senza ombra di dubbio quella dell'ultimo romanzo di Sutter Cane nel film In the Mouth of Madness (Il Seme della Follia), una delle pellicole più riuscite e rappresentative del regista.
La ricerca è ovviamente solo una metafora, quella dell'indagine del profondo, un sondare e affrontare i propri demoni in quell'autoanalisi che si conclude inevitabilmente con la pazzia (In the Mouth of Madness) o con la morte (Cigarette Burns).
Jimmy, ex tossico dipendente, è attanagliato dal senso di colpa per la morte della sua donna, schiacciata dal mostro della droga fino al suicidio. La sua è una vita spesa alla ricerca di un'assoluzione che non sembra trovare e che lo costringe ad una "non vita", molto simile a quella dei personaggi dei film horror che tanto ama.
Anche per questo il lavoro assorbe gran parte del suo tempo: impegnato nella ricerca di pellicole rare che non potrà mai possedere, cerca in realtà un motivo che lo spinga a non smettere di esistere, che si risolve nella ricerca stessa.
La fin absolue du monde, il film maledetto, si rivelerà il traguardo aspirato, l'opera della vita che può dare un senso alla ricerca di chiunque: girato da un regista pazzo, forse con l'aiuto del diavolo in persona, è il "prodotto finale" che trascende la realtà e che permette allo spettatore di entrare a far parte del film stesso, in un totale annullamento dell'io.
Ma che film è, in realtà, La fine assoluta del mondo? I personaggi che Sweetman incontrerà nel suo percorso iniziatico, lo descrivono nei modi più disparati: il capolavoro, il film definitivo, l'arma assoluta. Quel che appare evidente, con il passare dei minuti, è che sia un'opera che trascende il cinema, o meglio cinema che si è fatto carne in un insolito richiamo cristologico. Nella propria ambivalenza tra bene e male, infatti, La fin absolue du monde si rivela semplice specchio dell'anima di chi gli si pone di fronte, fino a coincidere con l'individuo stesso.
Specchio delle ipocrisie, della violenza e della cattiveria dell'uomo, che travolge persino la sacralità dell'arte (l'angelo torturato, privato delle ali e incatenato), il film nel film punisce ed epura un'umanità non ancora pronta, decisamente immatura.
In seguito a queste considerazione, Incubo Mortale si rivela per quello che è: una riflessione sulla forza del cinema e del suo potere mediatico sullo spettatore e sulla realtà. Niente di nuovo rispetto a quanto si era già detto in altre opere di altri (Cronenberg, a partire da Videodrome) e dello stesso regista (il già citato Il Seme della Follia oltre a Il Signore del Male o Halloween), ma qualcosa di originale nel panorama televisivo di cui la serie Masters of Horror fa parte.
Cigarette Burns è un film tecnicamente ineccepibile, carpenteriano al cento per cento, dallo stile alle ambientazioni, dalle tematiche alle musiche (di Cody Carpenter, figlio di John). E' stato, inoltre, sicura fonte di ispirazione per altri registi di genere, nonostante la portata piuttosto bassa del medio metraggio, tra cui il Dave Parker di The hills run red.
Medio metraggio dal forte impatto visivo e splatter (ormai cult la scena in cui il ricco collezionista, dopo aver visto La fin absolue du monde, avvolge il proprio intestino come fosse una pellicola, nel tentativo di divenire film lui stesso), lovercraftiano negli sviluppi e nei temi (le forze oscure di un mondo diverso dal nostro, che pian piano si riversano nella nostra realtà soverchiandola), Cigarette Burns è comunque affetto dai tipici difetti di prodotti televisivi a breve raggio: caratterizzazione dei personaggi poco approfondita, sviluppi della trama sviliti dalla breve durata, impianto scenico televisivo. Probabilmente con trenta minuti in più sarebbe potuto essere un capolavoro.
Ma non era quello l'intento del regista: forse la lezione più importante che ci da Carpenter è che il cinema è magia, insensata e incomprensibile, e che l'horror, da sempre specchio della società e dell'uomo, ha ancora qualcosa da dire.


Commenti

  1. Uno dei più bei episodi della prima stagione di "Masters of horror".
    Hai detto tutto tu in questa fantastica recensione, quindi non posso aggiungere altro. Lo trovato stupendo, da vedere e rivedere. Hai detto bene, Carpenter non voleva fare il capolavoro ma farci capire che il cinema è magia. E ci insegna benissimo la lezione.

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  2. Carpenter E' il maestro. Non me ne vogliano gli altri (che tanto non leggeranno mai, quindi chi se ne frega) registi della vecchia scuola, ma credo che il livello dei film di John, facendo una media tra capolavori, film riusciti, mediocri e non riusciti, sia comunque alta.

    Ti ringrazio tanto per i complimenti e, soprattutto, per il commento.

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  3. E certo che Carpenter è Il Maestro. Io non credo ci siano dubbi in proposito e infatti con questo mediometraggio surclassa tutti i suoi colleghi, li supera a destra, a sinistra, mette la retromarcia e ci ripassa sopra. Come ha sempre fatto e sempre farà.
    Se pensi che è stato l' unico a saper portare su schermo l' immaginario di Lovecraft, senza aver mai tratto direttamente nessun film dai racconti dello scrittore...
    Ma lui è come la Dunst in Melancholia: le cose le sa e basta

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  4. Ecco, e dopo questo intervento non ho niente da aggiungere, hai riassunto quello che pensavo con un "le cose le sa (fare) e basta"

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