1997 - Fuga da New York (di J. Carpenter, 1981)


"Il post-apocalittico, al cinema, va sempre di moda". E' questo che mi son detto oggi rivedendo per l'ennesima volta Doomsday di Nel Marshall. E' la stessa cosa che mi ripeto ogni volta che, ciclicamente, rivedo 1997 Fuga da New York, forse il simbolo del cinema post-apocalittico, quel film che ogni regista che si accosta al genere vorrebbe aver girato e che poi cita senza ritegno, come fosse la Bibbia.

John Carpenter girò Escape from New York nel 1981 ma lo scrisse nel 1975, un periodo certamente non tutto rosa e fiori per l'America post Richard Nixon e guerra del Vietnam. E infatti nel film si respira tutta la sfiducia verso le istituzioni e l'oppressiva sensazione di aver perduto credito nei confronti del resto del mondo, la paura mai veramente superata di un'imminente guerra nuclerare. Tutta roba attuale, tutte problematiche ancora scottanti che alimentano l'immaginario comune.
Però, come al solito, Carpenter è stato il migliore nel rappresentarle attraverso la macchina cinematografica, per la serie: quando uno è bravo, è bravo.
 

"1988: l'indice di criminalità negli Stati Uniti aumenta del 400%. Quella che un tempo fu la libera città di New York diventa il carcere di massima sicurezza per l'intero paese. Un muro di cinta di 15 metri viene eretto lungo la linea costiera di Jersey, attraverso il fiume Harlem, e giù lungo la linea costiera di Brooklyn. Circonda completamente l'isola di Manhattan, tutti i ponti e i canali sono minati. La forza di polizia statunitense, come un esercito, è accampata intorno all'isola. Non vi sono guardie dentro il carcere. Solo i prigionieri e i mondi che si sono creati. Le regole sono semplici: una volta entrati, non si esce più".

Neanche il tempo di incominciare che il vecchio John ci ha già spiegato tutto quello che dobbiamo sapere: il futuro americano è nero come la pece, la violenza è all'ordine del giorno e il crimine impazza. La risposta del governo non è più il recupero dei criminali ma il loro allontanamento definitivo dalla società civile. La nuova Alcatraz si chiama New York.
Se non fosse che un giorno, nel 1997, l'aereo presidenziale diretto ad un congresso mondiale precipita col presidente in questa immensa città-prigione. E' il panico: se il presidente non farà ascoltare al congresso un nastro con la formula della fissione fredda, sarà guerra. A tentare il recupero verrà inviato Snake Plissken, veterano pluridecorato poi divenuto mitico ricercato numero uno. Se entrare a New York è facile, uscirene però sarà molto più complicato.
 
  

1997 Fuga da New York è un cult intramontabile. Anzi, forse è il film a cui la parola cult è più facile da associare, nonostante non sia stato certamente il primo film a sciorinare tematiche come quelle che affronta. Questo perchè è tutta questione di stile e a dimostrarlo c'è una delle locandine più belle che sia mai stata concepita. Ciò nonostante questo film è stato un flop a botteghino ed è stato rivalutato solo molto tempo dopo. Capire il perchè non è difficile: è nero, è scorretto, è cattivo e il suo protagonista è un anti-eroe. Ancora meglio: probabilmente Carpenter è stato il primo a lanciare la figura dell'anti-eroe come protagonista indiscusso di un film, colui che ha inaugurato un trend che poi ha distrutto con le sue stesse mani, cinque anni dopo, con un altro film purtroppo sottovalutato: Grosso guaio a Chinatown.

"Bob Hauk: Mi ucciderai ora, Jena?
Jena Plissken: Sono troppo stanco... forse più tardi."

Snake Plissken (in italiano "Jena" Plissken) è un duro di quelli veri, a cui non frega niente di nessuno, uno che parla poco ma quando lo fa si fa ricordare per l'eternità. Il volto l'ha preso in prestito da Kurt Russell (amico e attore feticcio del regista), uno che non da certo l'impressione di andare a raccogliere margheritine per campi e che all'epoca aveva anche il corpo giusto, oltre alla faccia: quello di uno che viene dalla strada e che quando lo incontri ti costringe a cambiare marciapiedi.
Snake è un eroe involontario: l'ultimo dei suoi desideri è salvare le sorti di una nazione (e di un mondo) di cui non gli importa niente, eppure il richiamo della libertà, promessa in cambio dei suoi servigi, è una voce troppo forte da non ascoltare. In effetti Plissken è un animale che risponde con azioni alle sollecitazioni del mondo esterno, un nichilista mosso dall'istinto e dal puro spirito di sopravvivenza, uno che non è ne buono ne cattivo, e quindi non si può catalogare e chiudere in una gabbia concettuale. Per questo Carpenter nemmeno tenta l'indagine psicologica del personaggio ma lo prende e lo inserisce in un contesto dove potrà esprimere tutte le proprie potenzialità. Il linguaggio di questo character, l'abbigliamento, i modi di fare e persino l'espressione facciale, dicono più di quanto avrebbero mai potuto fare mille sceneggiature e l'hanno trasformato in una vera e propria icona.


A circondarlo una serie di maschere tragicomiche, gli abitanti di una città fantasma con la violenza marchiata nel dna, quasi regrediti ad uno stato esistenziale primitivo. Tra l'altro tutti interpretati da attori coi controcazzi, roba da far sberluccicare gli occhi per le lacrime: Lee Van Cleef, Ernest Borgnine, Donald Pleasence, Isaac Hayes, Harry Dean Stanton, Adrienne Barbeau.

E, al centro di tutto, New York (però non ditelo in giro: quasi tutto il film è stato girato a St. Louis). La regina delle città americane, desolata e spezzata, abbruttita e degradata, in altre parole: bellissima. La fotografia notturna, immersa nelle ombre dei palazzi e nella luce livida dei lampioni, la rende mutevole e dinamica, quasi fosse viva. NY rappresenta le effige di un'umanità sul baratro, sobillata da uno stato distopico, perduta nell'oblio storico. Se Carpenter nel resto della propria filmografia prova a rappresentare l'ombra di un male antico che incombe sull'umanità, in Escape from New York lo riscopre nel cuore dell'uomo, nel cinismo di un potere prevaricatore e nel disfacimento di quel che forse è il più rappresentativo simbolo del progresso civile: la città. Per questo Snake è emblema del suo tempo, di un mondo privo di eroi: lui è l'individualità che infrange l'omologazione, la scheggia impazzita in un sistema  dominato dalla ragion di stato.


1997 Fuga da New York non è certo un film perfetto, per lo più perchè risente di un budget ristretto che ne ha penalizzato le potenzialità. E' dotato però di una forza innaturale che lo rende un sempre verde, un highlander della cinematografia mondiale. Girato esclusivamente di notte, è intriso di un'atmosfera oscura infranta da un'ironia sottile che però non ne ridimensiona il pessimismo. A completare l'opera una colonna sonora (composta da Carpenter e da Alan Howarth) alienante e ossessiva. 
Nonostante il budget limitato a fare da padrone nel film sono le scene di massa, alta scuola da cui tanti altri registi - incluso il già citato Marshall - hanno preso esempio. La fuga di Snake dai Pazzi (massa di mutanti che provenienti dal sottosuolo di New York) è da antologia e ricorda l'assedio della massa anonima già visto in Distretto 13, mentre il combattimento nell'arena è coreografato in maniera perfetta, una delle migliori scene d'azione di sempre. Basterebbe questo a giustificare l'aurea di cult che questo film possiede. 
Inutile dire che invece c'è molto altro, prima di tutto quello che manca oggi a molti giovani registi: il coraggio, assieme a una incalcolabile dose di talento.


Commenti

  1. Eh, che cosa si può dire ancora di Carpenter se non che è dio? Lo so che mi ripeto, ma di fronte a un film così, che ha segnato in maniera indelebile l' immaginario collettivo e non ne uscirà mai e sarà tramandato nei secoli dei secoli, posso solo dire amen <3

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  2. La cosa bella di questo film è che lo conoscono tutti, anche chi Carpenter non sa nemmeno chi sia. Per me è stupendo ma ti dirò di più, io amo anche il tanto criticato Fuga da Los Angeles. Eppoi come non pensare al futuro Jack Burton quando si guarda Snake? Ok, mi fermo perchè se no non la finisco più.

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  3. Non concordo che abbia inventato la figura dell'anti eroe,giacchè egli è la tradizione del noir.Poi Eastwood ne ha dato un'immagine indelebile nella trilogia del dollaro di cui Jena -meglio di snake- è un po' il figlio bastardo
    Capolavoro assoluto e anche il seguito,appena rivisto,me piace osteria!

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  4. Forse hai ragione, io mi limitavo c parlare di personaggi negativi che assurgono al ruolo di eroi. Jena è un criminale che si trasforma in un salvatore.

    Il seguito (che è quasi un remake) a me diverte tanto tanto.

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  5. ciao, intervengo dopo anni sul tema dell'antieroe.... oltre a bogart, ai noir, a quinlan, a un dollaro d'onore, a johnny guitar (!) di nick ray, fuori quindi dagli anni 40 e 50, e oltre al re-impianto del mito offerto da Leone con i suoi personaggi, non solo della trilogia, vedi l'irlandese, il bombarolo james coburn di giu' la testa... oltre a cio' ci sono tutti i personaggi di sam peckinpah, e c'era stato warren oates, anche nei film di monte hellman (the shooting e strada a doppia corsia) e ne Il ritorno di Harry Collings di e con peter fonda. Poi penso a punto zero (vanishing point) e a easy rider, la rabbia giovane, corvo rosso non avrai il mio scalpo (!)... e poi i film di roger corman. tutto questo anche x riferirci al cult movie, come concetto che gia' si era impresso nell'immaginario, come titolo di riferimento x un titolo capace di impressionare un mood, degli aspetti di quella generazione, fissarli senza bisogno di discorsi, e ricordarli, mandarli a mente. poi certo ci sono i titoli piu' mainstream che ci fanno respirare l'epoca, come quelli di coppola e scorsese, de palma e cronenberg, e appunto il piu' fico di tutti, forse il piu' facile, ma nondimeno: John Carpenter

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