Una lunga seduta: A Dangerous Method (di D. Cronenberg, 2011)


In molti, parlando di A Dangerous Method, hanno parlato di mediocrità. O meglio, di medietà, come se questo fosse un punto di passaggio nella carriera del suo regista, David Cronenberg, ne carne ne pesce, un ibrido che vuole dire poco nonostante sia basato essenzialmente su dialoghi.
Se parliamo di Cronenberg però non possiamo dimenticare la malattia essenziale che percorre il suo cinema, quel sondare (nel)la carne alla ricerca di un senso della dialettica psicofisica che governa il meccanicismo dei mondi che crea. Dopo aver cercato la cura nel corpo, questa volta il canadese prova a sondare l'inconscio. Non la mente, di cui aveva già parlato in film come Scanners, Spider o A History of Violence.
Per Cronenberg questa volta si tratta di scendere in profondità, a tu per tu con l'Io

Ventesimo secolo, vigilia della Prima Guerra Mondiale. Lo psichiatra Sigmund Freud fa furore nell'ambiente scientifico con il suo metodo psicanalitico, tanto che il giovane Carl Jung decide di applicarlo su una sua paziente, Sabina Spielrein. Il tentativo avvicina i due medici, uno perchè vede nell'altro il suo erede, l'altro perchè vede nel primo una specie di mentore (e di padre). Contemporaneamente però il transfer venutosi a creare tra dottore e paziente, porta Jung ad una relazione con Sabina, spinto anche dalle idee del cocainomane dottor Otto Gross. La cosa, ben presto allontanerà maestro e alievo fino alla rottura definitiva.


Prima cosa: A Dangerous Method è tratto da una piece teatrale, quella di Christopher Hampton, sceneggiatore del film. Quindi non è (ancora una volta) un'opera originale di Cronenberg. Abbiamo già assistito a trasposizioni di opere "non sue" e sappiamo già quanto il buon David sia capace di mettere di personale in film non scritti da lui (A History of Violence).
La domanda che viene quindi da porsi è quanto ci sia del percorso intrapreso da colui che, un tempo, era stato eletto simbolo di un certo tipo di cinema comunemente definito "body horror".
La nuova carne è lì che ancora ci parla, il tentativo di dare un'identità all'immagine sottraendola all'indeterminatezza della rappresentazione filmica; la trasfigurazione stessa della realtà in finzione (o della finzione in realtà, che è lo stesso) sono passi importanti di una traformazione continua che porta l'individuo ad autodeterminarsi o a morire (o impazzire, che è lo stesso).

L'individuo però non è il personaggio di un film. Non va da un punto A ad un punto B come prestabilito da un copione, ma ha a sua disposizione infinite strade da prendere a seconda delle proprie esperienze. Per curare le nevrosi dei suoi pazienti, Freud credeva nell'osservazione scientifica attraverso l'esperienza del dialogo: leggeva quindi l'innosservabile raccontato attraverso la bocca dei malati. Tutto bene se non fosse che l'uomo (come il cinema) mente. Racconta cose che, fuggendo alla lente dell'osservazione diretta, possono essere false e vere allo stesso tempo.


Jung vedeva invece la vita di un uomo come un sentiero già segnato. Credeva quindi che le nevrosi gli impedissero di vivere la vita che avrebbe dovuto vivere. La cura della psiche portava irrimediabilmente a rimettere il paziente sulla giusta strada, ridandogli l'esistenza che gli era stata promessa fin dalla nascita. Anzi, andando oltre credeva che eliminando gli ostacoli che "appesantivano" l'Io, l'individuo avrebbe potuto ampliare le proprie percezioni e vedere oltre
Una simile capacità massmediale era già stata analizzata da Cronenberg e dichiarata illusoria, falsa, ingannevole. Lo stesso inganno che perpetua l'immagine raccontando qualcosa che viene spacciato per vero, ma che vero non è. In effetti interpretare un film è come interpretare un sogno: puoi presupporre cose ma non garantire l'autenticità della lettura. Lo spettatore, affidandosi alle "parole" del regista, diventa lo psicoterapeuta che legge le parole del paziente provando a spiegare quello a cui nessuno può dare una risposta. 
Dissipare l'inganno è impossibile. Il tentativo è una strada che non può essere percorsa fino alla fine. L'alternativa è accettare l'inganno, proprio come fa Jung, che lo perpetua nella consapevolezza (dolorosa) dell'inganno stesso: lo status sociale. Del resto la libertà assoluta, quella perseguita da Gross, porta all'autosistruzione rendendo l'uomo una vittima dell'ideterminatezza dell'esistenza.
In questo conflitto (che è il conflitto tra Jung e Freud) si pone Sabina Spielrein. Lei, medico e malata allo stesso tempo, è il personaggio in cui convergono tutti i personaggi cronenberghiani, colei che arriva in un atto autodistruttivo a confondere realtà e finzione. 

Tutti e quattro i personaggi segnano un passo importante nell'evoluzione del regista, che sembra voler concentrarsi finalmente sull'inconscio come motore dell'universo umano. Non più la mente che influisce sulla carne o il contrario, nemmeno un confronto col proprio Io, il doppio, ma la molteplicità che determina l'Io e la realtà, l'individuo che determina il mondo che determina l'individuo. 


Seconda cosa: il film si protrae come una lunga seduta spicoanalitica. Si dimentica del contesto. In effetti i tre protagonisti sembrano prendere le parti delle istanze che determinano la personalità: Io, Es e Super-Io. L'Es (Sabina) sono le pulsioni istintive, il Super-Io (Freud) l'opposto, ovvero la censura morale della coscienza. L'Io (Jung) sta nel mezzo, assecondando a volte l'uno (tendendo alla soddisfazione degli impulsi), a volte l'altro (censurando l'impulso). 
Questa chiusura dell'opera cinematografica può renderne difficile la fruizione. Ma l'atto interpretativo (come spiega il film) è completamente subordinato a quello che viene raccontato. Nonostante questo A Dangerous Method non è un film inutile. Forse noioso ma non fine a se stesso. 
Certo, l'inutilità di un'attrice come Keira Knightley può spiazzare, ma a compensare arrivano Michael Fassbender, Viggo Mortensen e Vincent Cassel. La regia di Cronenberg fa il resto, raccontandoci quella che di facciata è una storia d'amore straziante, dolorosa e violenta, che può non piacere ma non può non smuovere qualcosa dentro. Non può e basta.  

 

Commenti

  1. Ti dirò, con tutti i potenziali pregi, a me è sembrato il Cronenberg meno incisivo di sempre.

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  2. Forse perchè è un Cronenberg atipico. Oppure perchè serve più di una visione. Di certo non è uno dei suoi capolavori (lo dice uno che non sopporta Inseparabili).

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  3. l'ho acquistato e lo dovrò vedere.Come tema è interessante,vedremo.Sulla carta mi piace,eh!

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  4. Il mio unico consiglio è, se se ne ha la forza, di vederlo almeno un paio di volte. Dopo la prima io non sapevo che pensare.

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  5. per me non si tratta di mediocrità.
    si tratta proprio di un film pessimo che peggio di così era difficile fare...

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  6. No, non sono d'accordo. Preso come film a se e decontestualizzato forse non dice nulla, ma i film pessimi sono altri.

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  7. si,questo e melancholia-che ho preso insieme-sicuramente li guarderò più di una volta.Anche perchè conosco i miei lìmiti e quindi sulla materia del film di cronenberg dovrò prima di tutto ripassare le figure principali.Se no cosa critico?

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  8. Io la mia l'ho detta in modo poetico, sul mio blog, perchè il film meriterebbe paginoni di analisi e approfondimenti. La genialità dell'opera per me sta nella sintesi efficace e pregna, dal punto di vista narrativo e cinematografico in generale, di un momento cruciale della storia del pensiero psicologico occidentale. Il film dice solo quel tanto che basta della psicoanalisi per permettere di addentrarsi negli scambi, storicamente complessi e appassionanti, tra Freud e Jung, e anche dei personaggi (soprattutto Jung, che viene "abbandonato" proprio sulla prima soglia esperienzale e psicologica che poi caratterizzerà il suo rivoluzionario lavoro). A proposito dei protagonisti, condivido la visione psicologica dei tre, anche se la girerei su un piano archetipico, cioè la "condirei" con altri elementi e livelli, forse solo appena accennati ma sicuramente presenti (l'ebraismo, il materialismo e l'approccio olistico di Jung, il tema famigliare/sessuale nelle sue componenti di dominio e piacere, ecc ecc). E si potrebbe andare avanti molto, cogliendo tutte quelle sfumature, quegli incroci e l'intelligenza dialogica e umoristica del film: merito sicuramente, come dicevi, del testo, ma anche di una regia incredibilmente lucida e potente nel trattare temi e personaggi così pregni e complessi con padronanza e stile. Per me, insomma, grandi applausi a un Cronenberg così poliedrico

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  9. Non l'ho trovato un film mediocre, ma nemmeno uno dei più incisivi di Cronenberg.
    E' sicuramente una pellicola interessante ma non mi ha emozionata, né mi ha spinta ad una riflessione profonda.
    Come dici tu, dovrei rivederlo una seconda volta e forse un giorno lo farò.

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  10. @babordo76: in effetti meritano un approfondimento entrambi. Ma questo film in particolare secondo me non richiede che un'infarinatura dei concetti principali

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  11. @emmeggì: sì, sono d'accordo con te. Io ho dato una lettura personale, un'analisi accurata del film meriterebbe pagine e pagine e io, di certo, non sono all'altezza.

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  12. @Babol: anche io rimasi un po' freddino nei confronti di questo film la prima volta.

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  13. ...e ora che ho appena rivisto Crash sono ancora più convinto che sia un film assolutamente inserito nel discorso e nelle corde di Cronenberg

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  14. Ma infatti lo è senza ombra di dubbio.

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