Avete passato tutti quanti un buon Natale? Siete stati tutti quanti con i vostri parenti, con la gente che amate, con quella a cui volete bene? Il Natale, dicono dovrebbe essere questo. Come non ci fosse, tutto il resto dell'anno, la possibilità di poter fare una cosa del genere. Come se quel dato giorno, in quel dato del mese, le cose dovrebbero essere tutte al loro posto. Le cose non sono mai al loro posto, però. Le cose non hanno mai un loro preciso posto. Ci sforziamo di poterne trovare uno solo per un fatto di comodo. Come ho passato io il Natale? Come tutti gli altri anni. Forse un po' meglio, forse un po' peggio. Anche quando pensi che le cose possano cambiare, in realtà rimangono le stesse. E' il desiderio a rigenerarsi costantemente, la speranza, forse. Lo sforzo che tutto possa essere migliore, che tutto possa essere in una data maniera.
Combinazione Casuale vi augura che tutto possa essere intriso di passione, perché è la passione quella che conta. Sempre. Non soltanto il 25 Dicembre o giù di lì. La passione nel perseguire quelle cose che vi fanno stare bene. Le uniche e sole. Per me si tratta di scrivere. Quindi l'unica cosa che posso regalarvi è un racconto di Natale. Horror. Buone Feste.
COME IL CENONE DI NATALE
Il pacco sotto l’albero
si spostava da solo. Effe se n’era resa conto una mattina qualunque, dopo aver
fatto colazione, trascinandosi in ciabatte verso il bagno. Il pacco sotto
l’albero, quello grande che aveva poggiato contro il muro, si era spostato di
almeno venti centimetri ed era crollato sbilenco sopra tutti gli altri pacchetti.
Sola in casa, era sicura che tutto fosse stato al proprio posto la sera prima, quando
aveva controllato prima di andare a dormire. E’ vero che, a volte, la mente fa
brutti scherzi. Una cosa è lì e tu sei convinto che sia veramente lì. Ma magari
si tratta solo di una convinzione errata, ‘ché la mente mette le cose al loro
posto anche se il loro posto è un altro. Per trovare l’ordine nel caos, per
dare un ordine al caos, perché altrimenti si rischierebbe di impazzire. Alla
fine ognuno ricorda le cose a modo proprio, quasi ci fosse un modo giusto e uno
sbagliato di concepire il mondo. Quindi Effe era convinta di aver visto, la
sera prima, prima di andare a dormire, il pacco nella posizione in cui lo aveva
lasciato mentre, quella mattina, il pacco era dove non avrebbe dovuto essere.
La cose le fece salire i brividi lungo la schiena. Non pensò alla possibilità
che potesse essere caduto, non pensò che il pacco, magari poggiato lì in un
equilibrio precario, potesse essere scivolato lungo il muro e precipitato al
suolo. E in effetti distanza e posizione non facevano presupporre la cosa.
Non sapeva ancora cosa
ci fosse dentro. L’aveva trovato fuori dal proprio appartamento qualche giorno
prima, senza un mittente o qualche biglietto, solo il destinatario (lei)
scritto con una biro blu sopra la carta da regalo. Un pacco dai colori
sgargianti, un arcobaleno di carta opaca alto e stretto. Sembrava all’interno
ci fosse una scatola, simile a quella che racchiudono le bambole, con la
plastica trasparente sulla parte frontale.
Effe non amava il
Natale. Non per quello che era e ormai non era più: anche in quel caso i suoi
ricordi mettevano in ordine una realtà che non le piaceva. Per questo non
scartava mai un regalo prima del tempo, in quel periodo dell’anno. Anzi, lo
metteva sotto l’albero anche se l’aveva ricevuto settimane prima. Non che fosse
saggio tenere lì un regalo ricevuto a quel modo, da qualcuno che
(probabilmente) non conosceva, per un motivo che non era chiaro neanche a
pensarci su. Ma una tradizione restava una tradizione, al di là di buonsenso e
curiosità.
A volte le sembrava che
quel pacco respirasse. Era strano, ma quasi percepiva la scatola gonfiarsi e
sgonfiarsi, impercettibilmente ma non abbastanza da non accorgersene. E avrebbe
potuto essere qualsiasi cosa ma quel modo regolare in cui accadeva le metteva
spesso i brividi. Non che pensasse ci fosse qualcosa di vivo, dentro, anche se
il pensiero, a volte, l’aveva sfiorata non facendola dormire la notte e
spingendola quasi, una sera, a strappare via quella carta colorate per guardare
cosa diavolo ci fosse sotto. Ma quel pensiero le ritornò prepotente, quella
mattina, quando l’unica spiegazione che si riuscisse a dare e che,
effettivamente, il pacco si fosse mosso da solo spostandosi fino a cadere.
Proprio perché dentro ci doveva essere qualcosa di vivo.
“Ma ci fosse realmente
sarebbe morto, lì, senza aria, senza acqua e senza cibo”, diceva qualcosa
dentro di lei. Ed effettivamente era una spiegazione sensata, razionale. Solo
non bastava a scacciare via quella paura che, latente, ora sentiva rimbombare
nello stomaco e nel petto. Lo stomaco, la maggior parte delle volte, sconfigge
il cervello. Quella, di volta però, arrivarono a un pareggio: Effe afferrò il
pacco (troppo leggero, troppo bilanciato), lo sollevò e lo sistemò nella stessa
posizione in cui era convinta di averlo già lasciato la prima volta. Poi si
lavò, si vesti ed uscì per andare a lavoro.
Le notti successive fu
sempre peggio. Effe non riuscì a chiudere occhio e nemmeno riusciva a
comprendere se quello che accadeva fosse solo il frutto della propria immaginazione
o qualcosa di reale. Come ci fosse realmente differenza tra le due cose: per i
pazzi la propria immaginazione è realtà e le percezioni non sono altro che
diversi modi per filtrare il mondo che ci circonda. E “la memoria è un dio
crudele che ci da solo quello che vogliamo”. Inizialmente si trattò solo di
rumori, prima leggeri, poi sempre più forti, quasi qualcuno prendesse a pugni
il muro. La cosa era bastata a inchiodarla nel letto, con il piumone tirato fin
sopra la testa. Poi le cose si fecero più pesanti, tra diverse voci provenienti
dal salone, risatine e pianti leggeri come lo scrosciare dell’acqua o la
risacca del mare. Abbastanza da far schizzare chiunque fuori dal letto e poi
fuori da quella casa, ma a volte la vita assomiglia ad un film dell’orrore e si
precipita in un’infinità di controsensi. Effe, immobilizzata nel letto in un
bagno di sudore, solo la mattina successiva scivolava via dalla sua stanza e
andava a sbirciare nel salone, dove sotto l’albero il pacco misterioso sembrava
non essersi mai spostato di un millimetro. E se chiunque altro si sarebbe
avvinghiato a quell’oggetto straziandolo con le unghie infilate sotto la carta
fino a scoprire il segreto arcano che si portava appresso, lei si limitava a
starci il più lontano possibile e a spiarlo con la coda dell’occhio.
Poi, alla fine, Effe
scoppiò. Fu quando le cose erano sembrate migliorare, tutto d’un tratto. Perché
per due notti di fila tutto era sembrato essere tornato alla normalità: niente più
rumori, niente più voci, niente di niente. Se non fosse che, una sera prima di
andare a dormire, la situazione degenerò. Effe era in bagno e si stava lavando
i denti. Erano più o meno le undici e mezza e fuori faceva freddo, con il vento
che sibilava contro le persiane e qualche fiocco di neve caduto distratto. La
porta del bagno era aperta, ma lei non si accorse subito dei rumori. Poi, a un
certo punto, un tonfo la fece voltare di scatto, facendole spruzzare schizzi di
dentifricio tutto in torno. Quel che Effe si trovò di fronte la lasciò
paralizzata: il pacco di natale era lì, proprio di fronte a lei. Effe questa
volta scattò, giusto il tempo di riprendersi. Si lanciò contro di lui, lo
afferrò, “ma che cazzo sei?!” urlò mentre la carta si strappava sotto le sue
unghie smaltate di nero e la plastica e il cartone venivano perforati come
burro. Infine, quando la furia si fu esaurita, rimase solo il terrore. Quel che
era all’intero della scatola si era afflosciato ai suoi piedi. Effe si
allontanò, indietreggiando di qualche passo. Osservo, sbatté le palpebre, osservò
ancora. Non riuscì subito a capire di cosa si trattasse. Poi il clown di pezza
sollevò il capo multicolore e la osservò, spalancò l’enorme bocca contornata di
rosso, allungò un braccio sottile a strisce bianche e rosse e con la mano
raggiunse il naso a palloncino rosso e se lo premette. Quel naso produsse un
rumore squillante, come i clacson dei vecchi film o dei cartoni animati. Poi il
clown scoppiò a ridere. Il suo volto di pezza si trasformò, la bocca allegra si
trasformò in un ghigno dai denti affilati e marci, ingialliti come i suoi occhi
su uno sfondo bianco lenzuolo. Il clown cominciò a strisciare sul
pavimento, avvicinandosi ad Effe. Lei non riuscì neanche ad urlare,
semplicemente prese a indietreggiare, di più, sempre di più mentre il clown
ridendo non faceva altro che digrignare le zanne ed allungarsi verso di lei. E
quando alla fine Effe trovò un ostacolo dietro le sue gambe, non riuscì a
fermarsi, e il bidet color verde che a lei era sempre sembrato una rana la fece
inciampare e inciampando lei cadde e andò a sbattere con la testa contro il
vetro della doccia, che andò in frantumi e le ruppe il capo. E mentre il sangue
cominciò a scivolare sul pavimento e pezzi di materia cerebrale a colare
lattiginosa su di esso, il clown le fu subito addosso e lentamente cominciò
a divorarla come fosse stata un cenone di Natale.
<3
RispondiElimina;)
Eliminamai fidarsi dei clown...
RispondiEliminabuonefeste anche a te
e complimenti per la tua verve!
Grazie, Marco
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