[Recensione] Lone Survivor (di Peter Berg, 2014)


Non sono un'amante dei war movie. Non mi colpiscono particolamente, troppo spesso privi di un qualunque approfondimento psicologico. Non sempre, ma quasi. Per questo ho amato un film come The Hurt Locker e un po' meno Black Hawk Down. Poi arriva questo Lone Survivor e io storco il naso, vuoi perché è un war movie, vuoi perché alla regia c'è Peter Berg, che aveva iniziato benissimo la sua carriera (Cose molto cattive, Friday Night Lights) per poi afflosciarsi su marchette poco convincenti (Hancock, Battleship). 

Lone Survivor è la trasposizione cinematografica del romanzo omonimo Lone Survivor: The Eyewitness Account of Operation Redwing and the Lost Heroes of Seal Team 10 di Marcus Luttrell, ex-Navy SEAL in Afghanistan. Un budget di 50 milioni, riprese in Nuovo Messico tentando di simulare le catene montuose afghane, un regista che sa fare il suo mestiere, un po' meno scrivere sceneggiature. Strano che Lone Survivor sia nato da una sceneggiatura dello stesso Berg e che non zoppichi da quel punto di vista, dando l'impressione di essere un lavoro voluto, ben studiato e riuscito. Idealmente diviso in due parti: quella prima dell'azione e quella in cui l'azione, poi, si scatena. 

Alla fine la storia è quasi un pretesto ed è incredibile come, nella propria semplicità, sia realistica e allo stesso tempo straordinaria. Al centro una squadra di quattro Navy SEAL (corpo speciale statunitense) stanziata in Afghanistan che, rimasta isolata e priva di comunicazioni con il quartier generale, si ritrova circondata da un esercito di talebani. Dovrà resistere fino all'arrivo dei soccorsi. 


Lone Sirvivor inizia dalla fine e poi diventa un lungo flashback per finire (più o meno) dove era cominciato. Nel mezzo c'è la guerra, il sangue e le pallottole, nostalgia di casa che è lontana e i principi morali che la guerra calpesta ma che a volte sopravvivono. Di due parti, ho parlato prima, con i primi quarantacinque minuti che scorrono lenti cercando di dare ai quattro protagonisti una dimensione umana, permettendo allo spettatore di immedesimarsi e affezionarsi a loro. Uomini con famiglie, uomini con mogli che li aspettano, uomini che "devono pagare le bollette", che spendono il loro tempo libero dormeno o allenandosi. Uomini, americani. Anche per questo i dilemmi morali, che non possono e non devono trovar spazio in un guerra, diventano palusibili come diventano plausibili le scelte (giuste/sbagliate allo stesso tempo, perché la guerra distorce i valori e li capovolge) e le loro conseguenze. 

Ed è proprio in seguito ad una scelta (liberare dei civili in cui la squadra è incappata durante la missione) che il film cambia faccia, diventando un susseguirsi di azione (forse tirata un po' troppo per le lunghe), sparatorie, fughe rocambolesche seguite dall'occhio asettico dalla MDP. Pochi fronzoli, qualche guizzo, l'umanità schiacciata che tenta di sopravvivere, la violenza. Certo, i quattro Navy SEAL sono i protagonisti e in un certo senso restano i buoni, ma la retorica militarista viene ridotta al minimo e restano quattro uomini ben adestrati che, lentamente, vengono sconfitti. E la loro sconfitta diventa palese proprio quando la cavalleria arriva ma è incapace di intervenire, quando l'orrore della guerra contemporanea si rivela: tanta tecnologia, tante armi, tanta burocrazia ma alla fine la vita umana diventa qualcosa di poco valore. La sconfitta definitiva di un sistema.


Con questo non voglio dire che Lone Survivor sia un film anti militarista. Per nulla. La retorica di certi momenti e la tendenza all'americanata di altri è evidente. Il finale è stucchevole e apologetico. Io non sono riuscito a reggerlo. Forse è il pegno che ha dovuto pagare il regista all'industria. Una pugnetta. Ma c'è una certa attenzione verso le piccole cose, in tutto il film, che lascia sorpresi. C'è il tentativo di ovviare all'equazione americani:eroi invincibili=afghani:brutti e cattivi mantenendo sì dalla parte del torto i talebani ma permettendo al film di prendere una piega imprevista nel prefinale, uno dei momenti più belli della pellicola. 
E devo ammettere che anche gli attori non se la cavano male, riuscendo a non caricare troppo i personaggi (se non quando lo ha imposto la sceneggiatura, vedi la morte di Taylor Kitsch/Mike Murphy) con un Mark Wahlberg ultimo sopravvissuto e produttore esecutivo, Emile Hirsch, Eric Bana e Ben Foster (che è sempre uno dei migliori in campo ma che in pochi conoscono, peccato). 

Lone Survivor fa quello che molti altri film si sono rifiutati di fare. Scende a patti ma resta a testa alta. Si fosse chiuso il film con Wahlberg che ringrazia i suoi soccorritori afghani, sarebbe stato perfetto. Invece in film è un po' troppo lungo e alla fine la solita parata di soldati morti, buoni sentimenti e ideali americanizzati resta. E stona parecchio. Peccato. 



Commenti

  1. tipica occasione sprecata.
    un'americanata che non vorrebbe essere un'americanata ma finisce inevitabilmente per essere... un'americanata

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    1. L'ho trovato comunque meno americanata di tante americanate e, per lo meno, tenta l'introspezione.

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  2. a me invece è piaciuto abbastanza, certo di retorica ce n'è ma è tenuta abbastanza a bada...

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  3. Sono con Bradipo. Senza contare che a livello action a me ha esaltato parecchio.

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  4. Piaciuto parecchio anche a me, ed ero pronta a massacrarlo

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    1. Sì, anche io sono rimasto positivamente sorpreso.

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