[Recensione] Maps to the Stars (di David Cronenberg, 2014)


David Cronenberg non è più Cronenberg o forse non lo è mai stato. Perché passando da un film all'altro, da una fase all'altra, il Canadese si è evoluto/trasformato rimanendo sempre se stesso, passando dalla sua poetica in embrione al compleanno della Nuova Carne, dall'analisi della stessa alla sua evoluzione psico-fisica e, in seguito, metaforica. Passando, nel frattempo, da uno stile all'altro, da un budget all'altro, dalla serie B molto più vicina alla Z fino al cinema più impegnato (M. Butterfly, Crush) e poi più (o meno) commerciale di A History of Violence e La Promessa dell'Assassino. Per finire, negli ultimi anni, nella trappola di un qualcosa di obliquo e sfuggente, difficilmente inquadrabile persino come made in Cronenberg. Ovviamente sto parlando di A Dangerous Method e Cosmopolis, ma anche del nuovo Map to the Stars, ultimo (per ora) capitolo di un ultima fase a braccetto della Prospero Pictures, l'UFO da cui l'alieno Cronenberg può osservare e permettersi di criticare la patria che lo ha adottato (in questo caso definitivamente) ma che lui non ha mai smesso di considerare (probabilmente) una matrigna.

La famiglia Weiss, della California del sud, Sta vivendo il famigerato sogno americano. Sanford Weiss è un famoso terapista televisivo, sua moglie Cristina Weiss si occupa della carriera del figlio Benjie, giovane star della TV. La coppia ha un’altra figlia, Agatha, che a insaputa di tutti è appena tornata in città, misteriosamente sfregiata. Agatha stringe amicizia con un autista di limousine e diventa l’assistente personale di Havana Segrand, un’attrice ossessionata nel voler interpretare il ruolo che fu della madre nel remake di un grande film del passato. Madre che, in qualità di fantasma, continua a turbare la sua vita.


Chi segue Combinazione Casuale sa che David Cronenberg è uno dei miei registi preferiti. E lo è a dispetto di una carriera che, nella sua ultima fase, sta prendendo una strada certamente lontana da quel che i fan si sarebbero aspettati. Ma, si sa, che piaccia oppure no il canadese non è mai stato uno pronto ad adagiarsi sugli allori di una carriera in ogni caso mai alla portata di tutti. La dimostrazione ulteriore arriva con la sua ultima fatica, Maps to the Stars, un film difficile e inusuale che (meglio specificarlo) non è stato scritto da Cronenberg ma dallo scrittore Bruce Wagner. Significa poco: film come A History of Violence o Spider non sono stati scritti dal nostro ma lavori come Cosmopolis sì, e allora qui entra in gioco non il da chi ma il come sia stata scritta la sceneggiatura. E il problema di un film come Maps to the Stars è proprio lo script, i buchi che lo costellano come un cielo stellato, le nubi che si addensano sulla sua superficie. Un problema a cui Cronenberg cerca di ovviare piegando il lavoro di Wagner alla sua poetica. E allora una visione spietata del jet set U.S.A., che ricorda molto da vicino il lavoro fatto dal nostro Paolo Sorrentino in La Grande Bellezza, diventa l'ulteriore occasione per riflettere sulle mutazioni che portano la finzione ad diventare più reale del reale. Mutazioni psicologiche, non più fisiche, qui persino parapsicologiche che trascendono la realtà facilmente (si fa per dire) indagabile con metodi analitici. Non siamo più dalle parti di M. Butterfly o di Crash, non siamo da quelle di Spider e nemmeno da quelle metaforicamente traslate in fiction di La Promessa dell'Assassino: in Maps to the Stars Cronenberg si confronta con l'aldilà e, per farlo, lo porta aldiquà osservandolo attraverso l'occhio distorto della psiche umana. Distorto perché questa (la psiche) ha subito e assorbito le violenze perpetuate ai suoi danni dal "sistema", dalla società. E Hollywood, forse, è il sistema sociale che più violentemente agisce sull'individuo portando quest'ultimo a concepire la finzione su cui si basa l'unica verità possibile.


IL POST PUO' CONTENERE SPOILER

Hollywood luccica e lo fa fino a bruciare. Il fuoco non epura più ma lascia tracce indelebili tanto sulla pelle quanto nella mente. I fantasmi di un passato impossibile da esorcizzare allora ritornano e perseguitano i vivi. Fantasmi che dicono una verità che nessuno vuole ammettere, che appaiono ai vivi intrappolati in un'illusorio labirinto dalle pareti color porpora. La malattia mentale (presunta o accertata) diventa l'unico modo per liberarsi o, almeno, per cercare di farlo. Ma, badate bene, malattia mentale che ha origini nella carne, nell'incesto. Incesto che perseguita come - appunto - un fantasma la famiglia Weiss: prima il padre e la madre, autori del "peccato originale" e poi i figli Agatha e Benji ma in maniera più simbolica essendo loro imprigionati in un rituale (il gioco/matrimonio che facevano da piccoli e la promesse/poesia che recitavano per suggellarlo) che per concludersi deve aspettare il finale del film. Ma chi si libera dalla prigione della finzione hollywoodiana non può che morire, alla fine. E allora la follia, l'ennesima maschera, viene giù e rimane solo il vuoto di una verità che nessuno potrà raccontare. Maps to the Stars è quindi un film pessimista, sì, ma che trova una via d'uscita. Non è La Grande Bellezza che ci dice "o vi adattate allo star system o morite". I suoi personaggi non sono intrappolati in un sogno consolatorio (che diventa incubo) come quelli di Mulholland Drive o Inland Empire di David Lynch. Perché, nel film di Cronenberg, fingere vuol dire mettere a posto le cose, il sogno diventa reale e questo accade soprattutto lì dove i sogni si fabbricano. Quando la finzione cade, cade anche la realtà e dietro non rimane nulla. E la caduta non fa rumore.


Certo, raccontato così sembrerebbe quasi di ritrovarsi di fronte a un gran bel film. E le cose stanno così se prendiamo Maps to the Stars da un punto di vista prettamente tecnico. Perché Cronenberg sa come girare un film, sa come girare le scene, sa come imprimere il proprio marchio e piegare qualcosa di non suo alla sua poetica. E questo drammone raccontato come fosse un thriller soprannaturale non annoia mai perché spinge lo spettatore a farsi delle domande, a chiedersi come potrebbe andare a finire. Solo che, effettivamente, questa pellicola non va da nessuna parte. Questa pellicola pone elementi che poi non approfondisce e, al termine dei suoi 111 minuti, lascia lo spettatore intrappolato nei suoi molteplici buchi, annichilito da un senso di incompiutezza inaccettabile, da un silenzio assordante in cui rimbomba la domanda "e allora?". E dico questo pur essendo uno che non pretende spiegazioni ad ogni costo. Non si tratta di non spiegare ma di una sgangheratezza, a livello di script, che non trova spiegazioni. Certo, Cronenberg prova a mettere  le cose a posto, ma non sembra riuscirci. Sembra invece che l'idea alla base di Maps to the Stars volesse andare in un senso e il regista in un altro. E non bastano le scene girate bene, il sangue che quando esplode macchia tutto e fa veramente male, che si tratti di morte violenta o di rinascita (le mestruazioni). Non basta l'interpretazione incredibile di Julianne Moore, quella misurata di Mia Wasikowska o la faccia di plastica di John Cusack. Non bastano le maschere che affollano la pellicola sotto forma di personaggi. Perché, alla fine, guardare questo film è come osservare la faccia di Robert Pattinson e non trovarci un'espressione neanche a pagarla. 
Che possa piacere non c'è dubbio, che possa ipnotizzare è innegabile. Ma, alla fine, non è questo il Cronenberg che voglio e questo probabilmente non è il film che molti cercano. 



Sui miei quaderni di scolaro
Sui miei banchi e sugli alberi
Sulla sabbia e sulla neve
Io scrivo il tuo nome.

Su tutte le pagine lette 
Su tutte le pagine bianche 
Pietra sangue carta cenere 
Io scrivo il tuo nome.

Sulle dorate immagini 
Sulle armi dei guerrieri 
Sulla corona dei re 
Io scrivo il tuo nome.

Sulla giungla e sul deserto 
Sui nidi sulle ginestre 
Sull'eco della mia infanzia 
Io scrivo il tuo nome.

Sui prodigi della notte 
Sul pane bianco dei giorni 
Sulle stagioni promesse 
Io scrivo il tuo nome.

Su tutti i miei squarci d'azzurro 
Sullo stagno sole disfatto 
Sul lago luna viva 
Io scrivo il tuo nome.

Sui campi sull'orizzonte 
Sulle ali degli uccelli 
Sul mulino delle ombre 
Io scrivo il tuo nome.

Su ogni soffio d'aurora 
Sul mare sulle barche 
Sulla montagna demente 
Io scrivo il tuo nome.

Sulla schiuma delle nuvole 
Sui sudori dell'uragano 
Sulla pioggia fitta e smorta 
Io scrivo il tuo nome.

Sulle forme scintillanti 
Sulle campane dei colori 
Sulla verità fisica 
Io scrivo il tuo nome.

Sui sentieri ridestati 
Sulle strade aperte 
Sulle piazze dilaganti 
Io scrivo il tuo nome.

Sul lume che s'accende 
Sul lume che si spegne 
Sulle mie case raccolte 
Io scrivo il tuo nome.

Sul frutto spaccato in due 
Dello specchio e della mia stanza 
Sul mio letto conchiglia vuota 
Io scrivo il tuo nome.

Sul mio cane goloso e tenero 
Sulle sue orecchie ritte 
Sulla sua zampa maldestra 
Io scrivo il tuo nome.

Sul trampolino della mia porta 
Sugli oggetti di famiglia 
Sull'onda del fuoco benedetto 
Io scrivo il tuo nome.

Su ogni carne consentita 
Sulla fronte dei miei amici 
Su ogni mano che si tende 
Io scrivo il tuo nome.

Sui vetri degli stupori 
Sulle labbra intente 
Al di sopra del silenzio 
Io scrivo il tuo nome.

Su ogni mio infranto rifugio 
Su ogni mio crollato faro
Sui muri della mia noia 
Io scrivo il tuo nome.

Sull'assenza che non desidera
Sulla nuda solitudine 
Sui sentieri della morte 
Io scrivo il tuo nome.

Sul rinnovato vigore 
Sullo scomparso pericolo 
Sulla speranza senza ricordo 
Io scrivo il tuo nome.

E per la forza di una parola 
Io ricomincio la mia vita 
Sono nato per conoscerti 
Per nominarti
Libertà.

(Paul Éluard)

Commenti

  1. Non avendo visto il film ho dovuto necessariamente saltare alcuni pezzi della tua recensione, soprattutto quelli contenente spoiler. Sinceramente, temo non mi piacerebbe e ho un po' di paura ad affrontarlo. Preferisco fermarmi alle penultime evoluzioni di Cronenberg, prima della fase UFO XD

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    1. Bah, io non so cosa dire e cosa pensare. certamente non è il Cronenberg che piace a noi.

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  2. Beh, son contento che almeno a te non abbia annoiato. Io invece, come sai, l'ho trovato pessimo anche da quel punto di vista. E non per la messa in scena, che è di livello, ma proprio perché oltre all'intreccio inconcludente, anche in termini di dialoghi direi che siamo su livelli un po' imbarazzanti...

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    1. Credo che i dialoghi siano voluti, il livello non mi sembra molto lontano da quello de La Grande Bellezza appunto. Credo che sia il solito metodo: dialoghi stupidi perché dicono cose stupide.

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  3. Considerato quello che è stato il percorso di Cronenberg da A dangerous method in poi, ho molta paura di vedere questo Maps.
    Mi sa tanto che arriveranno altre bottigliate.

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    1. A dangerous method non mi è dispiaciuto affatto. Qui invece ci sono problemi di fondo più legati alla sceneggiatura che alla regia.

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  4. si vedrà, intanto per me è uno dei titoli più attesi, vedremo alla visione, se sarà possibile se darti ragione o meno ^_^

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    1. Non so se alla fine lo hai visto, manco da un po' come avrai notato. Ma se lo hai visto sono curioso :P

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  5. Cronnie è pure uno dei miei registi preferiti, e sinceramente questo suo continuare a cambiare genere è una cosa che amo di lui. Persino un fallimento come "A dangerous method" lo vedo in parte come una mezza conquista, perché ha provato a fare qualcosa di diverso dal suo solito.
    Questo spero di vederlo al più presto, ma stranamente sono ottimista. D'altronde, se mi era piaciuto "Cosmopolis"...

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    1. Se ti è piaciuto quello può darsi che ti piaccia anche questo. Non ti resta che provarci, se non lo hai ancora fatto :D

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    2. Ok, provato e... cervello diviso a metà: un meridiano grida al capolavoro, l'altro alla cagata pazzesca.
      Non so cosa pensare.
      E il guaio maggiore per me è che sembra sia diretto come se a Cronenberg non gliene fregasse nulla.

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    3. Io continuo a pensare che questo non sia il vero Cronenberg ma un Cronenberg che cerca di far suo qualcosa che non gli appartiene. Vedremo in futuro.

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  6. tornerò a rileggere tutto quando avrò visto il film...se lo vedrò...dopo Cosmopolis ho una certa diffidenza per Cronenberg che è anche uno dei miei registi preferiti...

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    1. Fai bene ad essere diffidente, ma magari potresti trovarci qualcosa che ne valga la pena

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  7. Ancora fatico a comprendere come si possa parlare di fallimento di "A dangerous method" (anche se poi Jean dice che è una conquista, e questo lo condivido) e in generale di critica nel merito se non rispetto a una propria personale aspettativa fan(atica) e di conseguenza un po' rigida e uguale a se stessa. Cronenberg, come altri autori e come in generale le persone che fanno ricerca e lavorano su se stessi e/o l'arte ed espressione, cresce, cambia approccio, stile. Sperimenta film che utilizzano meccanismi e stili diversi. Io questo lo trovo apprezzabile, specie se poi i film sono calzanti alle vicende raccontate. Però ci sono tracce simili, alcune evidenti, che avvicinano i suoi film (anche i recentI con gli "storici"). E' il solito discorso: se un film come "A dangerous method" l'avesse fatto un altro, magari lo si sarebbe apprezzato di più. Credo però sia più interessante entrare nel merito come hai fatto tu Frank parlando ad esempio di sceneggiatura bucata. Io il film ancora non l'ho visto, appena riesco mi esprimerò sicuramente su questi punti...Cercando di fare prima una pulizia delle mie aspettative del "vecchio" Cronenberg (sono anche io fan del "vecchio" e del "nuovo", ad ogni buon conto!).

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    1. Molto spesso il problema sono proprio le aspettative. Fanno male, lo hanno sempre fatto. Per quanto riguarda il resto, aspetto un Cronenberg più... Cronenberg

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    2. Visto e molto apprezzato.

      Non trovo buchi di sceneggiatura, ma spazi per lasciare alcune cose sospese, in un film che propone microstorie molto intricate e sul confini.

      A me è sembrato un film che crea spazio per immergersi -e anche per essere rivisto. Come poesie, preghiere e fiabe che forse dopo l'ennesima lettura ad alta voce, svelano qualcosa di difficlmente spiegabile in parole ma perfettamente avvertibile nella pancia o nel cuore.

      Rileggendo ancora una volta i commenti alla produzione del cosiddetto "nuovo" Cronenberg mi viene in mente un paragone con Ferretti cccp/csi; molti (ex?) fan credo abbiano avuto bisogno di un po' di tempo per "riallinearsi" con parole e musiche del punkteocon appenninico per poterlo riapprezzare. E in effetti musiche e testi dell'ultimo album sono sicuramente diversi e innovativi, raccontano di una persona che ha fatto un cammino, scoperte, è cambiato e si esprime in maniera più simbolica e spirituale (in Cronenberg direi più psicoanalitica) senza paura, pippe e contropippe mentali. E soprattutto con molto meno io, anche in senso artistico, e più "spazio libero".

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  8. Io, che non apprezzo Cronemberg quasi per nulla, devo ancora vederlo. E' comunque un regista che fa notizia e i suoi film li devo vedere, anche se poi la maggior parte delle volte so già che non li apprezzerò mai appieno.

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    1. Lo apprezzo così poco che ho anche sbagliato a scrivere il suo nome.

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    2. E' importante da conoscere, questo è poco ma sicuro. Ti consiglio di recuperarlo.

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  9. Bellissima recensione.
    Che condivido quasi in pieno peraltro.
    In realtà questo è un film che ti può fregare, che può sembrarti magnifico, che affascina.
    Però una visione fredda delle cose porta a vedere difetti talmente oggettivi da non poter far finta che non esistano.
    La sceneggiatura su tutto, come giustamente dici e un pò tutti abbiamo notato.
    E qul paranormale che non porta da nessuna parte e si fa troppo ingombrante, troppo.

    Ho odiato quella poesia, la declamano 15 volte.
    E allora?

    :)

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    1. Grazie Caden. E non parlarmi di quella poesia, che ho odiato dopo la quinta volta che veniva ripetuta :D

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    2. E l'hai pure messa poi?
      Autolesionista o tipo per esorcizzarla?

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  10. Onestamente l'ho trovato molto bello. Ma so che a molti non piacerebbe,si basa su idee forti ed é molto riflessivo. Quello che a tanti risulterebbe noioso. Mi ha dato dei bei spunti di riflessione. Anche se il suo capolavoro rimane il pasto nudo per quanto mi riguarda

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  11. Se guardassi un pezzo di una galassia non vedendone la fine e l inizio ti sentiresti come alla fine del film. una stupenda ma inafferrabile bellezza

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