Il Cameraman e l'Assassino, un mockumentary atipico


Il Cameraman e l'Assassino è un film atipico. Girato in un anacronistico bianco e nero da tre (aspiranti) registi belga come tesi di laurea nel 1992, è stato forse il primo mockumentary nel senso attuale del termine ad arrivare al grande pubblico. Titolo originale C'est arrivé près de chez vous (traduzione letterale: "questo è avvenuto vicino a te"), l'opera di Rémy Belvaux, André Bonzel e Benoît Poelvoorde fu presentata alla 45a Edizione del Festival di Cannes non come finto documentario e non con la pretesa, quindi, di ritrarre la realtà spacciando la finzione per verità. Non si tratta quindi di un nuovo Cannibal Holocaust o di un precursore di The Blair Witch Project ma, formalmente, è forse il primo mockumentary come lo concepiamo noi spettatori adesso. 

Perché film atipico, allora? Perché Il Cameraman e l'Assassino sembra rifiutare, fondamentalmente, l'idea alla base del mockumentary, ovvero quella di "cinema verità". In quest'opera prima manca fondamentalmente l'idea di riflettere il reale: è esagerata, esasperata, grottesca, iperbolica. Nessuno, guardando Il Cameraman e l'Assassino, potrebbe mai pensare si tratti di un evento reale ripreso dall'occhio "spietato" della camera da presa e questo al di là di qualsiasi sospensione dell'incredulità. Allo stesso tempo però lo spettatore si ritrova impossibilitato a rifiutare la visione, forte del fatto che si tratti di finzione, forte del fatto che quello che sta guardando sia "tutto finto". Per quanto sia terribile e disgustoso quel che viene narrato dai tre registi, si tratta pur sempre di un film. Di cinema. 

Una troupe di tre ragazzi sta realizzando un documentario che racconti la vita di un killer. Il killer in questione si chiama Ben che tra una bevuta e l'altra, una poesia e un pranzo in famiglia, una visita a casa di amici e un incontro di boxe, uccide uomini e donne, vecchi e bambini per poi rubare il loro denaro. La troupe, che filma tutte le gesta dell'uomo, si ritroverà a divenire complice dello stesso.


In uno dei momenti più belli e interessanti della pellicola, Ben e la sua troupe si incontra/scontra con una troupe televisiva. La differenza tra i due gruppi non viene subito colta dal killer che li definisce "colleghi". Al che Remy, il regista, spiega la sostanziale differenza tra i due: "noi facciamo CINEMA". Ecco, è in quella scena o meglio in questa frase che il senso di un film come Il Cameraman e l'Assassino viene a galla. Il rifiuto del cinema verità in un finto documentario, la consapevolezza di essere finzione, cinema, un mezzo che la realtà la rielabora, così diverso dal mass media televisivo che ha invece la pretesa di riproporla tale e quale. In una frase sola uno dei capostipiti del mockumentary contemporaneo rifiuta l'idea stessa alla base del mockumentary contemporaneo negandone l'essenza. 
La succitata scena è però anche l'occasione per rifiutare l'idea di una TV che pretende di raccontare la verità, un atto denigratorio verso un mass media che spaccia una realtà contraffatta per verità, senza sporcarsi, osservando di nascosto, dal buco della serratura. Un confronto impari tra cinema (povero di mezzi) e televisione (ricca e seducente), con il cinema che uccide il concetto di "spettacolo" televisivo. 

Formalmente però Il Cameraman e l'Assassino è un mockumentary in tutto e per tutto. C'è un (s)oggetto (l'assassino), un mezzo (la troupe) e un destinatario o fruitore (lo spettatore) che partono come elementi distinti ma finiscono per fondersi e divenire un tutt'uno.


Ben, l'assassino, è un serial killer che vive ammazzando e rubando i soldi delle sue vittime. Rubare però non è essenzialmente il motivo per cui uccide: essere un assassino fa parte della sua natura, non più uomo ma soggetto, che ha motivo di esistere proprio perché viene ripreso. Narcisista, folle e logorroico, Ben si rivela un fiume in piena di fronte la camera. Un essere spietato e persino affascinante ma triste nel suo essere "ai margini", un outsider che non vede l'ora di primeggiare e che trova nella troupe cinematografica un modo per farlo, per divenire stella luminosa che indica attraverso il proprio modo distorto di vedere la realtà la strada da seguire, la verità celata agli occhi di un mondo borghese e perbenista. La sua visione sociale, a tratti persino condivisibile, il suo atto di denuncia politico risultano sfocati dalle idee reazionarie, razziste e fasciste che porta avanti. Ben non fa altro che parlare e parlare ma le sue azioni contraddicono le sue stesse parole. Un uomo che pretende di essere un illuminato ma alla fin fine non fa altro che bere, vantarsi e uccidere, idolatrato da quei pochi "amici" che lo seguono e di cui si circonda solo per soddisfare il proprio ego. Ben non sembra provare veri sentimenti, uccidere lo rende vivo ed è il proprio modo per auto-affermarsi, lo capiamo soprattutto quando uccide volontariamente (molti parlando di un colpo partito per sbaglio ma basta guardare meglio la scena per rendersi conto che non è così) un suo amico sparandogli e poi continua a mangiare un pezzo di torta come niente fosse, rendendo palpabile il terrore che provoca nei suoi "seguaci" ma che si mischia con l'ammirazione degli stessi. 


La troupe lo segue. inizialmente lo fa con il solo scopo di "raccontare" ma, lentamente, viene risucchiata dal vortice di violenza che l'assassino rappresenta. Se inizialmente il suo scopo è mostrare la realtà di un serial killer in maniera distaccata, in un secondo momento diventa parte attiva delle attività di Ben, godendone in maniera scellerata, arrivando ad aiutarlo prima con il suo silenzio e poi divenendo parte attiva delle scelleratezze psicotiche dell'uomo. Se Ben è una forza malvagia ma a tratti primordiale i membri della troupe sono l'umanità che da quella malvagità si fa attrarre e possedere divenendone riflesso. Come ho detto prima, si tratta di una finzione che non nega la propria natura, che vive del proprio grottesco e dell'umorismo nero che pervade la pellicola. Eppure il classico "continua a riprendere" diventa ragione essenziale del film nel momento stesso in cui la troupe continua ad esistere nonostante le morti che l'hanno decimata. "Continueremo a girare il film" perché ormai lo stesso Remy e i suoi compagni sono parte del film, non più spettatori freddi e distaccati ma colpevoli al pari di Ben e forse anche più di lui.


Infine lo spettatore. L'ho già detto, diventa subito chiaro ai suoi occhi che quella narrata è finzione. Questo permette a chi guarda di continuare a guardare, compiacendo il proprio bisogno voyeristico. Lo spettatore è orripilato dalla violenza del film, dal suo lato pulp, è disgustato da protagonista e troupe ma continua a guardare, si sporca sapendo che la merda in cui si immerge è finta, non è vera, non è reale. Ma facendo questo diventa parte attiva e integrante del film che ha motivo di essere proprio perché osservato al di là della sua ripetitività e del suo crescendo di depravazione. Un po' come Ben ha motivo di esistere solo ripreso dalle telecamere. 

Per questo motivo, durante la visione, ci sentiamo sporchi e per questo motivo, nonostante la consapevolezza che sia tutta finzione, che sia CINEMA, ci sentiamo un po' il cameraman, un po' l'assassino. Per questo, quando la pellicola termina, ci sentiamo un po' vuoti e un po' mostri, pieni di qualcosa che è diventata reale nel momento stesso in cui l'abbiamo fatto nostro.

Commenti

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  2. Mockumentario belga in bianco e nero, e con Benoit Poelvoorde.. suona davvero bene! Sento che questo film potrebbe interessarmi, me lo segno e spero di trovarlo presto da qualche parte : D

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