Lord of Tears (di Lawrie Brewster, 2013)


L'horror moderno si nutre di internet. Ok, forse questa è un'esagerazione, addirittura una provocazione, ma in ogni provocazione c'è sempre un fondo di verità: internet ha permesso la proliferazione dell'orrore sotto forma di leggende metropolitane, screamers o creepypasta arrivando a consacrare figure o fenomeni inventati di sana pianta, permettendo loro di raggiungere lo status di "realtà". Internet ha consacrato e dato forma ai mostri, alle leggende, ai nuovi miti moderni. Un mondo, insomma, in cui il Pinhead di turno diventa reale attraverso il passaparola, in cui la leggenda si consacra passando di bocca in bocca. In cui la finzione diventa prima virale, poi reale. 
Niente di nuovo se pensiamo, appunto, alle leggende metropolitane, quelle storielle messe in giro da chissà chi e prese per vere "perché me lo ha detto miocuggino". Internet, il nostro grande cuggino,  ha solo reso globale il tutto, lo ha reso "possibile" nella propria impossibilità attraverso la confutazione con video, foto e documenti fake creati ad oc, grazie al sommarsi non solo di esperienze ma di vere e proprie prove tangibili che poi tanto tangibili non sono, così come sono sospese nella rete, virtuali.

Internet, da sempre, genera mostri e il nuovo cinema horror se ne nutre, come quello vecchio si nutriva di personaggi e situazioni simili ma ricreati di sana pianta e, perciò, originali: basti pensare a film come Candyman o The Ring che affrontano molto bene l'argomento. Ai tempi cerano Leatherface (reso reale da una didascalia all'inizio del film Non Aprite Quella Porta) o Fraddy, oggi invece c'è Slenderman. E forse senza quest'ultimo non avremmo mai avuto il Babadook oppure non avremmo mai avuto l'Owl Man di Lord of Tears.


Ok, ma cos'è Lord of Tears? Semplice un film indi, l'esordio del regia Lawrie Brewster. Un film piccolo, piccolissimo, al limite dell'amatoriale, nato grazie al crowdfunding su Kickstarter e costato (a quanto dicono) sulle 12.000 sterline. Un lavoro che non nasconde tutta la sua povertà ma che invece cerca di sfruttarla, puntando sull'alternanza di colore e bianco e nero, sui filtri sgranati e sull'effetto weird che ricorda (dal punto di vista visivo) un'opera somma come il Begotten di E. Elias Merhige
Nel film ci sono quattro attori e tre comparse, una manciata di location e uno stile di ripresa molto vicino a quello del Dogma 95, senza però la filosofia alla base di quel movimento e le sue assurde pretese formali. 

James è un insegnate scozzese che, alla morte della madre, riceve in eredità la magione di famiglia situata nelle campagne scozzesi. La stessa madre di James gli sconsiglia, in un messaggio postumo, di visitare il luogo poiché legato a terribili avvenimenti risalenti all'infanzia dell'uomo. James, ovviamente, decide di recarsi in loco per indagare.


Ho già detto in passato che, soprattutto quando si tratta di film indipendenti, la riuscita tecnica non coincide con la riuscita stessa dell'opera. Un film infatti può essere brutto, girato male, realizzato con due soldi, ma può avere in se una forza immaginifica o una potenza narrativa tali da permetterne la riuscita. Non è questo il caso di Lord of Tears.
Da un punto di vista squisitamente tecnico, infatti, quello di Brewster è uno dei lavori più brutti che mi sia capitato di vedere. Non c'è un solo movimento di macchina, non c'è la minima intuizione formale, non ci sono vere e proprie dinamiche nelle scene, i cambi di inquadratura sono grezzi, il montaggio secco, i tempi sbagliati. Ogni scena è statica per via di un dinamismo, all'interno delle stesse, privo di logica. E non parliamo poi di primi piani talmente stretti da essere soffocanti o della lentezza (narrativa) con cui la vicenda si dipana. Soffermiamoci invece su attori cani, su una fotografia sgranata, sull'accavallarsi di scene surreali messe lì per tappare buchi logici o che vorrebbero aumentare mistero e suggerire malessere ma che sono talmente male assortite da confondere e annoiare. O di quei momenti costruiti con l'evidente ambizione di spaventare (ricorrendo anche ai soliti trucchetti, di tanto in tanto) ma talmente deboli da lasciare indifferenti. Insomma, un disastro in piena regola.


Da un punto di vista narrativo invece non c'è nulla di nuovo sotto il sole. La storia è banale, un vero e proprio cliché in movimento che in più riprese assomiglia ad un lungo episodio del più brutto dei Dylan Dog e in altre a una squallida imitazione dei film di Roger Corman. Si vede che l'intenzione di Brewster era quella di girare un horror gotico, le ambientazioni sono tipiche e anche la base archetipica rimane evidente. Cerca per questo di fondere folklore locale, echi biblici e la più classica delle ghost story. Un po' di Byron, un po' di Stoker, una spruzzata di Poe e Lovecraft (per non parlare del j horror, che fa sempre bene, dai). D'altra parte gli piace l'idea di un horror psicologico che indaghi nel profondo di un uomo piccolo piccolo, mediocre, codardo e inetto. Perché questo è James, un incapace che si sente a proprio agio solo nel proprio piccolo universo fatto di libri e vecchie amicizie, che vuole andare a fondo in un mistero chiamato infanzia, fatto di ricordi omessi e traumi impossibili da affrontare. Un individuo incapace di andare oltre, terrorizzato da un passato oscuro che però è reale, al di là delle pagine ingiallite di qualsiasi libro. Eppure James, che per quanto possa essere odioso ha un mondo complesso e potenzialmente interessante al suo interno, non viene approfondito come non viene approfondito il suo rapporto con la madre. Certo, parla tanto, ma dice poco. Anche quando viene messo a tu per tu coi propri demoni (o fantasmi) rimane macchiettistico, non prende mai veramente forma e alla fine si rimane distanti da lui, non lo si ama, non lo si odia, non si prova pena. Lo si biasima, al massimo. E intanto non c'è un mistero che sia veramente interessante, molte cose le si intuiscono subito, altre non sorprendono (come il finale, tirato per i piedi).


Infine mi vorrei soffermare su quel che avrebbe potuto essere l'elemento più interessante del film, la figura del mostro, del demone o del fantasma, chiamatelo come volete: sto parlando di Olw Man. O Moloch, decidete voi. Eppure, anche qui, risalta tutta la pochezza di una storia mediocre, affrontata tante di quelle volte da essere diventata noiosa. Perché Moloch è un Slenderman con la testa di gufo, visivamente interessante ma metaforicamente insignificante, a metà strada tra l'uomo nero e la divinità pagana. Vorrebbe essere protagonista dei momenti più metafisici del film e di quelli più terrorizzanti ma niente, non funziona, rimane deus ex machina privo di spessore. La sua è una figura abusata, lo spauracchio di bambini paurosi, il mostro da cui bisogna stare lontani ma che alla fine, se lo guardi da vicino, non fa poi così paura. Per spiegarci, in un film come Sinister c'è un personaggio simile ma molto più potente. Certamente il trucco e parrucco da quattro soldi non aiuta, mancano effetti speciali e con quel budget ci puoi fare veramente poco, ma sempre rimanendo in ambito indi mi piace ricordare cosa abbia fatto Flanagan in Absentia, che sceglie di mostrare fino ad un certo punto tanto è consapevole delle dinamiche dell'orrore e del sottile filo che separa paura e ridicolo.

Insomma, Lord of Tears per me è una schifezza, non lo consiglio a nessuno e sono stato lì lì per mollare la visione parecchie volte. Peccato. Però, ovviamente, si tratta di un mio punto di vista e se ne volete un altro, magari meno estremo, vi consiglio di andare a leggere la recensione di Caden Cotard qui. Magari potreste essere più invogliati alla visione.


Commenti

  1. Ahah, pur non condividendo il giudizio mi ritrovo in tutto quello che hai detto, difficile contestare.
    (e, lo sai, ti avevo avvertito che ti avrebbe fatto schifo)
    A me è piaciuto e oggi leggendo qua e là ho trovato in rete parecchie conferme (anche rece quasi esaltanti).
    Ma c'è poco da dire, la tua rece è in buonissima fede, e, lo ripeto, condivisibile punto per punto.
    Ribadisco, come detto per Ex machina, che se i film che non ti piacciono ti fanno fare rece così ben vengano...

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    1. Troppo buono. Però hai ragione, può anche piacere (non formalmente perché fa veramente schifo) ma io con gli horror ormai sono sempre ipercritico.

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    2. Mmm, sai che ti dico? credo proprio che mi sia piaciuto formalmente, nel suo stile.
      Poi se parliamo di regia e costruzione delle scene alzo le mani.
      ho glissato sul pessimo montaggio delle scene ad esempio, ma con semi amatoriale credo di aver riassunto un pò tutto

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    3. Sisì, intendo proprio regia e comparto tecnico...

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  2. Non l'ho visto, comunque certi film sono delle vere e proprie schifezze, come per esempio 1303

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    1. Non l'ho visto, anche se stavo per farlo. Per fortuna ho scelto bene :P

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  3. Boh, a me avevano invogliato a vedere "A Serbian film" perché era una schifezza... casomai saprò chi maledire u.u

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