Room (di Lenny Abrahamson, 2015)


LA TRAMA: Jack è un bambino di cinque anni cresciuto in una stanza in un capanno, che crede che quello sia il mondo intero e che, al di là di quelle quattro mura, non ci sia altro. In quella stanza sono solo lui e sua madre Joy, rapita sette anni prima da Old Nick e tenuta segregata assieme al frutto delle costanti violenze subite.

IN POCHE PAROLE: un film duro, psicologicamente violento. Un vero e proprio calcio nelle palle. Ma anche l'orrore, quello vero, guardato attraverso gli occhi innocenti di un bambino che, partorito da un incubo, si ritrova a dover affrontare un mondo che non conosce e che fa addirittura più paura dell'incubo stesso dal quale proviene. Room, tratto dal romanzo omonimo di Emma Donoghue e ispirato ad una storia vera, è un film diretto dal bravo Lenny Abrahamson, storia di sconvolgente violenza ma anche racconto di (ri)nascita, quello di una madre e di suo figlio. Film potente che non può non sconvolgere, commuovere e fare addirittura paura: una paura atavica, quella verso il genere umano!

LATI POSITIVI: un film immenso, girato a regola d'arte, che non annoia, con livelli di tensione sempre alti. Attori formidabili: l'attrice protagonista Brie Larson si è guadagnata, giustamente, il Premio Oscar 2016 come migliore attrice protagonista, ottime le prove di Joan Allen, William H. Macy e Tom McCamus, ma a fare davvero la differenza è il piccolo e immenso Jacob Tremblay.

LATI NEGATIVI: forse un filino didascalico in certi frangenti, ma poca roba davvero.


APPROFONDIMENTO (pericolo SPOILER):

Room è un film costantemente in bilico tra violenza e dolcezza. Ha due braccia, due mani e una bocca con le quali ti prende, ti afferra, ti abbraccia, ti stritola, ti bacia. Ti morde. Fa male, Room, perché è crudele nel presentare una situazione non realistica, ma reale. Al di là del fatto che sia accaduta più o meno davvero o no. Ti arriva come un pugno nello stomaco già da subito, con le prime scene, e poi scardina ogni tua certezza piano piano. Al di là dello svolgimento, che in effetti va quasi a ritroso presentando una situazione nel suo stato più critico e mostrando via via come si stabilizza.
Joy e Jack, madre e figlio, vivono in una squallida stanzetta. Joy è lì prigioniera da ben sette anni e notte dopo notte il suo carceriere, Old Nick, abusa di lei. E' da questi abusi che è nato Jack, che Joy ama alla follia, sua unica ragione di vita. Il bambino, essendo nato e cresciuto in quel tugurio, conosce il mondo esterno solo attraverso la TV ma, essendo trasmesso dalla TV, pensa non sia reale. Una fantasia, qualcosa di assolutamente lontano dalla realtà, che ai suoi occhi è racchiusa tra le semplici quattro mura della stanza. L'unico tramite, l'unico portale tra i due mondi, è Old Nick, a metà strada tra la divinità e il mostro. Una sorta di padre padrone da temere e da cui nascondersi, dentro l'armadio, in un capovolgimento che ha del magnifico.

Ad un certo punto però, quella stanza già così piccola di suo comincia a restringersi. E' un attimo, piovuto inaspettato ma neanche tanto (perché coincide con il compleanno del bambino): quello in cui il piccolo Jack, per la prima volta, prova ad affrontare la divinità. Il momento in cui il figlio decide di sfidare per la prima volta il proprio padre, terrorizzato dalla sua figura. Il momento in cui il pericolo si palesa agli occhi di Joy, che finalmente capisce: lei e suo figlio ormai sono in pericolo, devono fuggire.
La fuga è forse il momento più adrenalinico, ansiogeno e terrificante di tutto il film. L'esplosione di tutte le paure accumulante dallo spettatore, che in poche sequenze ottimamente gestite ha già empatizzato con i due protagonisti. Scene di quotidianità private di qualunque realismo quotidiano. Stravolte poi dalla quotidianità vera ma priva di qualsiasi appiglio emotivo dopo la fuga e relativo ritorno alla realtà: quella che Jack non ha mai conosciuto né assaporato.


Mi accorgo di quanto scrivere di questo film sia difficile. Mentre lo guardavo, ad un certo punto, non ho potuto fare altro che pensare a Matrix. In Matrix c'è Neo, una persona adulta, che viene aggiornato su una realtà che non conosce e che non riesce ad accettare. Il suo cervello si rifiuta. Neo, vissuto per tutta la vita in un programma virtuale, non riesce ad accettare che la realtà "vera" sia un altra. In un certo senso la stessa cosa succede a Jack, nato in una situazione da incubo che a lui appare normale e terrorizzato dalla nuova realtà in cui si trova tutto a un tratto proiettato. Jack, sfuggito alla prigionia, ripensa alla sua prigione con rimpianto. Ecco, cercare di descrivere una situazione del genere è per me impossibile. Come è impossibile mettermi nella prospettiva di Joy, la madre privata della libertà,  passata dall'essere una ragazzina a una donna, asservita, maltrattata e violentata, tenuta prigioniera per sette anni e infine liberata solo per scoprire la propria inadeguatezza. Di madre, di donna, di essere umano. Joy, che passa da una prigione a un'altra e che poi, terrorizzata e afflitta dai sensi di colpa, tenta un'ultima grande fuga da una vita che le è stata negata e di cui rimangono solo i frammenti sparsi che non riesce a rimettere assieme. 

Come fare a scrivere di tutto questo? Io magari riesco a mettermi dal punto di vista di un padre e una madre che si vedono restituire una figlia che credevano perduta, riesco a biasimare un uomo che non riesce a guardare in faccia suo nipote, incarnazione del male che gli ha strappato la figlia, o ad amare una donna che si ritrova nuovamente madre e persino nonna, e dona tutta se stessa a un nipote che è quasi un'occasione nuova per riappropriarsi di quel che ha perso. Ma come descrivere la forza dei sentimenti che un film come Room trasmette? Sentimenti contrastanti ma forti, diretti. Room fa male, ti (s)travolge, ti fa a pezzi e ti strugge anche quando scalda il cuore. Perché tra tanto dolore ci sono momenti di pura bellezza. Room parla dell'amore vero, puro e infinito. Attimi madre/figlio descritti con assoluta sensibilità e delicatezza grazie anche a due attori incredibili. E soprattutto il piccolo Jacob Tremblay si rivela l'arma vincente di un film difficile: da dirigere, scrivere, recitare. Un crescendo di emozioni per un piccolo gioiello di inquietudine e dolcezza che spero non verrà dimenticato negli anni a venire. Ditemi voi, come si può parlare di tutto questo? Come?

CONCLUSIONE: Room è un film che ti annienta. Lo guardi e non puoi farci niente: ti afferra, ti attira a se, ti fa entrare in un mondo che non è bello, ma nemmeno tanto brutto. Un mondo dove il modo di guardare completamente incontaminato di un bambino può fare la differenza. In cui il male esiste ed è spietato, immotivato, bastardo. Insostenibile. Ma esiste ancora qualcos'altro. Noi facciamo sempre, costantemente, il tifo per Joy e Jack. Ma soprattutto per Jack. E non può proprio essere altrimenti. 

Commenti

  1. Al momento (momento che dura da gennaio, quando l'ho visto), il film dell'anno. Si vedrà che succede, in sei mesi... ;)
    Jacob, per me, meglio di qualsiasi Di Caprio.

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    1. Jacob Tremblay è mostruoso... non vedo l'ora di vederlo in Somnia, nonostante mi abbiano detto che il film non sia granché!

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  2. Anche per me al momento è il film dell'anno, uno dei pochissimi ad avermi toccato nel profondo :)

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    1. Tocca nel profondo e rischia pure di far male. Come non quotarti ;)

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  3. Secondo me era da Oscar, davvero intenso!

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    1. Anche secondo me, ce ne sono pochi di film così "potenti" ormai!

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  4. Il piccolo Jacob strepitoso, senza se e senza ma.
    Il film un piccolo grande cult.

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  5. Per me non strepitoso come per molti, ma davvero molta bella roba.

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  6. Nonostante il senso di claustrofobia che mi ha dato, l'ho trovato un grande film

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    1. E' proprio quel senso di claustrofobia che per me lo rende un grande film :D

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