31 (di Rob Zombie, 2016)


Io Rob Zombie l'ho prima amato e poi odiato. Profondamente. Non sono il tipo di persona da odio verso registi, cantanti, scrittori, intrattenitori vari o artisti che siano, provo qualcosa di molto simile solo per Sandra Bullock e Luc Besson, ma va a pelle, mi stanno antipatici e mi provocano la gastrite a prescindere, non per reali demeriti loro. Con Rob Zombie, invece, è stato diverso, perché è stato uno di quei rari autori di cui ho percepito la “poetica del tradimento” nel momento stesso in cui ha cambiato, con la forza dell'egocentrismo (di cui tutti i creativi sono ampiamente dotati, ammettiamolo), non solo il suo stile, ma il senso stesso del suo cinema.
Tutto ebbe inizio nel 2003 con La Casa dei 1000 Corpi, l'esordio del leader dei White Zombi, film non particolarmente riuscito ma che io amai (e amo) profondamente per quello spirito citazionista di cui è intriso, per quell'anima sporca che lo faceva brillare nella marea di pattume in cui comunque era relegato. L'incipit della poetica dei reietti di cui Zombie si è fatto portavoce e che poi ha amplificato con quel gioiellino intitolato Devil's Rejects (La Casa del Diavolo), tutt'ora secondo me il massimo livello espressivo raggiunto dal nostro, un mix di lerciume, sangue, violenza e “poesia”, quella dei cattivi ma umani, disgustosi ma veri, senza filtri. Il male che è male ma senza fare la morale, gente intrisa di violenza e malvagità ma capace di sentimenti nobilissimi come l'amore, il sacrificio, il coraggio.

Era il 2005 e una nuova stella era sorta nel firmamento del cinema horror di serie B, quello fatto con pochi mezzi, lontano dal clamore hollywoodiano di qualche produttore a caccia di soldi facili. Solo due film e già era fatta, il destino già segnato e il mio amore conquistato. Che volete, mi bastano cuore, citazionismo e grasso/grosso divertimento sanguinolento per essere felice.


Poi però arrivò il remake/sequel di Halloween. Un film che funziona alla grande per la prima mezz'ora, robzombesco (si può dire) al 100%, ma che poi sceglie di confrontarsi/scontrarsi con la storia-capolavoro del cinema horror, facendo andare tutto in vacca. Per non parlare del sequel di questo Halloween: The Beginning, che secondo me è stato il vero inizio della fine, il ponte che ha portato un novello vate dell'horror grezzo a sentirsi il messia del nuovo horror psichedelico anni 2000. Arriviamo a The Lord of Salem, arriviamo al 2012. Ora, non ho nessuna voglia di dilungarmi ulteriormente, né di continuare a tediarvi. Se volete, andatevi a leggere questa lettera aperta che scrissi tanto tempo fa, colma di amarezza, rabbia e rammarico. Quel che importa è spiegare la mia rabbia nei confronti di un regista che mi aveva prima sedotto e poi abbandonato per seguire la strada di un'autorialità che io continuo a pensare non gli appartenga. I diamanti rimangono diamanti anche in mezzo alla merda, dove spiccano di più. Non c'è bisogno di metterli necessariamente in gioielleria (e chi vuole capire, capisca).

Per tutti questi motivi mi sono avvicinato a 31 con titubanza. Sinceramente non lo volevo nemmeno guardare, allo Zombone non volevo dare più nemmeno una possibilità. Poi però sono stato assalito dal dubbio a causa di frasi come “Rob Zombie è tornato”, “Finalmente un ritorno alle origini”, “Ecco il Rob Zombie che piace a noi”. Sicché ho pensato: vuoi vedere che il nostro a davvero fatto ammenda? Che è rinsavito? Vuoi vedere che è tornato davvero? Così ho abbandonato ogni pregiudizio e mi sono lanciato nella visione. E oggi, dopo un bel po' di giorni, posso finalmente dire la mia. Rob Zombie è davvero tornato? Sì, è lui, quello di un tempo. Quindi il film ti è piaciuto? No, non molto. Ma aspettate un attimo che vi spiego meglio.

1976: un gruppo di giostrai in “tour” sul loro bel pulmino finisce (il giorno di Halloween) tra le grinfie di un gruppo di pazzi furiosi. Lo scopo è semplice: devono partecipare ad un gioco, un survivor game chiamato 31. In pratica hanno 12 ore di tempo per sopravvivere ad un gruppo di psicopatici che darà loro la caccia e tenterà di ucciderli, mentre i pazzi furiosi di cui sopra scommetteranno su chi sarà il prossimo a morire.


Trama accattivante, estetica sporca e cattiva, personaggi persi nell'oblio di una nazione lasciata a se stessa, tra strade polverose e volgarità assortite. Il color seppia del sud degli Stati Uniti bruciato dal sole ad incorniciare il tutto. E poi il sangue, quello che non manca mai e crea un connubio imprescindibile con la merda. Ecco, l'ho detto: sangue e merda. Non può essere altro quando si parla di reietti.
Gli ingredienti, a dire il vero, ci sono tutti. Un gruppo di rozzi zoticoni itineranti, battute spinte, sesso, droga e rock n roll. Il solito piatto che piace a noi. Personaggi che ricordano altri reietti, quelli del diavolo dei due primi film del regista. Solo che, questa volta, Zombie fa di più. Prende personaggi ambigui, sgradevoli e splendidi e li mette al centro di una mattanza tra le grinfie di ricchi pazzi psicopatici. Due donne e un uomo imbellettati come dame e damerini del '700 che scommettono sulla sopravvivenza di ogni singola vittima in una vera e propria caccia all'uomo con tanto di rilanci, percentuali e strategia. E chi sono i cacciatori, in questo caso? Altri pazzi psicopatici che vengono pagati, come ad ogni halloween, per uccidere i malcapitati di turno in un videogame su più livelli, con diversi nemici da affrontare a turno più l'ovvio boss finale. Ed è forse questo il motivo per cui, a me, 31 non è piaciuto: il film sfugge all'anarchia tanto visiva quanto narrativa a cui Rob ci aveva abituati e segue dei binari ovvi che, tra le altre cose, non lasciano spazio a nessun tipo di approfondimento. Quasi tutti i personaggi allora sono abbozzati e, per quanto coloriti, restano macchiette banali con cui è impossibile legare (le vittime) o che non fanno paura (i “cattivi”) e non riescono, in ogni caso, a bucare lo schermo. Noi spettatori, quindi, rimaniamo estranei, non scatta la catarsi, non scocca la scintilla e rimaniamo impassibili: la mente assimila subito i meccanismi, il cuore resta da parte e non partecipa. Come se non bastasse, poi, il film non riesce a coinvolgere nemmeno il nostro stomaco: le immagini non fanno presa, la regia si rivela troppo morigerata, nulla viene concesso alle esagerazioni che io da un film di Rob Zombie non posso non aspettarmi, nel bene o nel male che sia.

Quindi niente, il film scorre e si guarda volentieri ma non resta e non lascia nulla se non l'iconografia di quello che per me è diventato uno dei cattivi più affascinati di sempre: Doom-Head.


E qui apriamo un discorso a parte. Perché Doom-Head è l'unico personaggio carismatico in un film di ben 102 minuti. L'unico a cui è concesso di scostarsi dalla banalità di characters ovvi e di divorare la scena. Lui è la super star, lui è il protagonista morale. Spicca tra nani nazisti, clowns cannibali armati di motosega e tedeschi giganti in tutù. E il bello è che basta qualche monologo come si deve, del cerone macchiato di sangue e un sorriso a cui è impossibile resistere (cit.). E' lui ad aprire il film prima dei titoli di testa, e con lui che si chiude il film prima dei titoli di coda. Grazie anche all'interpretazione praticamente perfetta del sempre sottovalutato Richard Brake, che si erge su tutti, persino su una Meg Foster sempre su livelli altissimi e sicuramente su una Sheri Moon Zombie di cui si nota più la magrezza che altro. Doom-Head, con il volto psicotico di Brake, è già un'icona e meriterebbe (lo voglio, lo voglio assolutamente) un film tutto per se. Ma secondo me non basta a risollevare le sorti di una pellicola che, non fraintendetemi, scorre benissimo e vi accompagna verso la fine senza scossoni di sorta, ma che (secondo me) non ha appeal, che abbaia ma non morde, che sembra sia stato scritto per noia e diretto solo con la mano destra. Sì, c'è il citazionismo estremo, ma manca il mordente, manca la cattiveria degli esordi. Ho quasi paura sia stato fatto per accontentare i (pochi?) fan delusi.

Quindi sì, Rob Zombie è tornato e di questo ne sono felicissimo, senza remore aspetterò il suo prossimo film. Ma di 31 posso solo apprezzare lo spirito, non il risultato finale. La cosa bella è che torno comunque a sperare.


P.S. Se c'è una cosa che non delude mai, nei film di Zombie, è la colonna sonora. Grazie Rob, almeno questa è e resterà sempre una garanzia.    

Commenti

  1. Non mi è dispiaciuto, ma l'ho trovato veramente diretto malissimo. Nelle riprese più traballanti, non si capiva davvero chi facesse cosa a chi. Mia nonna, col Parkinson, avrebbe avuto più fermezza nella direzione, oh!

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    1. Uh, quello è proprio lo stile di Zombie che, secondo me, bravo tecnicamente non lo è mai stato. Le immagini traballanti nei suoi film ci sono sempre state.

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  2. a me era piaciuto The Lord of Salem, indipendentemente dal contesto registico autoriale e non. Questo comunque lo vedrò per curiosità anche se odio i pagliacci e giostrai :-)

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    1. Dai, non tiriamo in ballo The Lord of Salem che potremmo anche finire a litigarne XD.

      Per quanto riguarda questo, vedilo ma non aspettarti granché. Male che vada ti esalterà :P

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  3. Su Zombie la pensiamo esattamente allo stesso modo.
    Questo 31, però, a me non è proprio piaciuto.
    E più ci penso, più mi incazzo.
    Non è riuscito a prendermi troppo neppure Doomhead.
    Meglio di Salem, certo, ma che peccato.

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    1. Meglio di Salem non è che ci volesse granchè. Dai, almeno è tornato quello di un tempo, poi secondo me bravo non lo è mai stato. E' un brutto che piace, ecco XD

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  4. A me è piaciuto, con questo film Zombie è andato un po' troppo sul sicuro, ma alla fine il risultato è divertente :) Lo recensirò nel weekend!

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    1. Bah, io l'ho trovato troppo prevedibile per essere divertente. Ma apprezzo lo sforzo :P

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