Sopporto poco le persone che vogliono "esistere" a tutti i costi. Quelle persone che hanno necessità di "essere" agli occhi degli altri, di apparire non nel senso inflazionato
del termine ma nel senso di spiccare per doti che magari possiede e
che per questo ha bisogno di evidenziare ogni momento. Non sopporto
chi vuole essere brillante a tutti i costi, simpatico a tutti i
costi, saggio a tutti i costi, sagace, disinvolto e così via. Non
amo le battute sempre pronte e adoro gli attimi d'imbarazzo, quelli
in cui non sai che dire e non dici niente o, al massimo, balbetti. Mi
comunica un senso di naturalezza che credo stia lentamente sparendo,
lasciando spazio alla comunicazione sintetica e al sintetismo in cui
ognuno di noi è quel che oramai l'altro si aspetta.
Per lo stesso
motivo, mal sopporto le opere d'arte (o d'intrattenimento) impostate.
Quelle da intellettuale ad ogni costo o necessariamente indi, quelle
che devono per forza aver qualcosa da comunicare o, al contrario,
sono pronte a stupire ad ogni costo anche quando da dire non hanno un
cazzo. L'autorialità per forza mi perplime, sarà che mi piacciono
le cose ignoranti, anche. Che poi, obbietterebbe qualcuno, a me piace
Lynch, a me piacque Only God Forgive, quindi non dovrei proprio
parlare. Ma è diverso. Certe cose mi colpiscono a livello emozionale
o intellettuale e quindi niente, magari ci trovo del genio. Ma non ci
perdo molto a cambiare idea se poi si prosegue sulla strada
dell'esagerazione a tutti i costi o del vuoto cosmico basta che sia
“cool” (qualcuno ha detto The Neon Demon?). Ma sto tergiversando.
Parliamo invece di Demolition, girato
da Jean-Marc Vallée (Dallas Buyers Club) e interpretato da Jake
Gyllenhaal e Naomi Watts. Un film che avrebbe potuto essere ma,
secondo me, non è stato. Il motivo? Semplice: per me è
l'esagerazione di cui sopra. Anzi, più che altro parlerei di
esasperazione. Tutto, in Demolition, è esasperato, ingigantito,
spinto. Parlo di sentimenti, parlo di metafore, ma anche di
recitazione e sceneggiatura. Sembra quasi che lo scopo finale del film sia
quello di colpire con una mazza emotiva lo spettatore tentando un
processo di demolizione proprio come il protagonista, Davis, fa con
la sua intera esistenza sconvolta dalla morte violenta e improvvisa
della moglie.
La metafora che Demolition porta
aventi, apparentemente, è quanto di più banale poteva essere: per
ricominciare, a volte, bisogna ripartire da zero, ma l'unico modo per
farlo non è distruggere ma “decostruire”. Nel senso che la
distruzione indiscriminata, senza la comprensione dei meccanismi di
ciò che distruggiamo, non ha senso. Demolire, comprendere e poi
ricostruire, invece, è l'unica strada sensata. Per quanto sia banale
però, quello che ci dice il film è sacrosanto. Perché, tra
l'altro, non lo fa con la compostezza saggistica di chi ci vuole
istruire ma con la violenza di una vera e propria lezione di vita,
quella che subisce (e impara) il personaggio principale.
Peccato però che il tutto non avvenga
con la naturalezza che ci si aspetterebbe da un film del genere.
Perché tutto appare così ben costruito, un meccanismo costruito con
cura tanto certosina, da far sparire (quasi) ogni traccia di empatia
con i personaggi e la vicenda. Manca il dolore viscerale, manca
la forza della disperazione vera, manca la potenza emotiva che ti
coinvolge/sconvolge e ti attira inesorabilmente dentro il film.
Quel che avviene, invece, è esattamente
il contrario. Si rimane estranei e, quindi spettatori. Perché si
percepisce benissimo che ogni scena, ogni, frase, ogni musica,
persino ogni inquadratura ed espressione facciale, miri a suscitare
qualcosa di sintetico, che non nascerà mai da dentro. Che non sarà
mai totalizzante e non ci riuscirà mai ad annientare. Resta invece
la sensazione di un autocompiacimento. Perché Demolition vuole
essere profondo ad ogni costo, brillante ad ogni costo, intellettuale
ad ogni costo e così via. Un film che, forse, doveva essere più selvaggio, meno mentale (nonostante la fisicità
di molte scene, certo), meno “pieno”. C'è troppa roba,
succedono troppe cose e ad un certo punto si fa fatica a comprendere,
soprattutto perché significato e significante sono tanto semplici.
Anche l'interpretazione di un sempre straordinario Jake Gyllenhaal e
tirata, esagerata, gigioneggiante.
Allora no, a me Demolition (in Italia
Demolition - Amare e vivere) non è piaciuto e lo paragonerei alla
persona che fa di tutto per essere quel che gli altri si aspettano
che ella sia, che fa di tutto per “essere”. E con cui io non
parlo, se posso farne a meno.
A me è piaciuto, eh, però in parte concordo con te.
RispondiEliminaL'emozione, né la "ricostruzione", non l'ho sentita.
A me è la cosa che proprio non è andata giù!
Eliminanemmeno a me è piaciuto tanto nel senso che dici, però ne riconosco la riuscita di alcune scene e delle performance...
RispondiEliminaLe performance sono comunque grandiose, ma le ritengo comunque "esagerate". Alcune scene sono cinema pure, sto regista il mestiere suo lo sa fare...
EliminaE dire che mi ispirava un sacco :/ ottima l'uscita su "The neon demon", comunque u.u
RispondiEliminaMa quanto è cambiato Gyllenhaal?
Ad un tratto, nel film, si taglia la barba e... mi sono ricordato com'era in Donnie Darko XD
EliminaMagari non sarò stato coinvolto completamente, ma io l'ho trovato un buon film, di pancia ed onesto.
RispondiEliminaE Gyllenhaal è bravissimo.
Io l'ho trovato proprio poco onesto e poco di pancia, invece :D
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