Il mondo delle serie TV è vasto,
addirittura sconfinato. Ce ne sono per tutti i gusti, di tutti i
tipi, di tutti i generi e i livelli qualitativi. Poche serie TV però
mi hanno colpito e appassionato come The Missing, della cui prima
stagione scrissi qui. Non mi dilungherò però su qualcosa di cui ho
già parlato dettagliatamente. Qui mi basterà ricordare che questo
piccolo gioiello britannico ideato da Harry Williams e Jack Williams
mi esaltò, tenendomi col fiato sospeso per tutte e otto gli episodi
e straziandomi con un finale criptico ma perfetto.
Per questi motivi attendevo con
trepidazione la seconda stagione, trasmessa proprio quest'anno dalla
BBC One e ancora inedita in Italia. Beh, dopo essermi letteralmente
divorato le otto nuove puntate, posso dichiararlo senza paura: non
solo la seconda stagione di The Missing non ha deluso le mie
aspettative, ma mi ha anche ripagato di un'attesa durata ben 2 anni.
The Missing (lo dice il titolo stesso)
è un giallo che tratta casi di scomparsa. Se l'esordio del 2014
verteva sulla scomparsa di un bambino e raccontava delle indagini per
ritrovarlo, questa seconda trance ha al centro della scena
un'adolescente rapita e il suo ritorno a casa dopo ben 11 anni di
prigionia. Solo che c'è qualcosa di strano nella tedesca Alice
Webster, e forse le sue disavventure sono legate a filo doppio con
quelle di Sophie Giroux, ragazza francese scomparsa anch'essa tanti
anni prima e sulle cui tracce, una volta, c'era il detective Julien
Baptiste.
La prima cosa che salta agli occhi
guardando questa seconda stagione è che The Missing non è una serie
come tutte le altre. Due stagioni (per ora), due storie che tra loro
non hanno niente in comune se non il personaggio di Julien Baptiste e
pochi, splendidi riferimenti che però non servono ad altro che a far
da raccordo, delineando meglio i personaggi e i loro comportamenti,
oltre a dare un contesto che rende quello del “telefilm” un vero
e proprio micro universo narrativo. A dirla tutta, per come è
strutturato, tutto il progetto ricorda più una serie di romanzi che
un prodotto per la televisione, ben lontano dal classico concetto di
serializzazione per il piccolo schermo quanto da quello di “prodotto
antologico”. Storie diverse, personaggi diversi, stesso
protagonista ma sviluppi differenti per quanto geometricamente
simili. Perché è proprio la geometria a far da padrona, qui: nulla
viene lasciato al caso, tutto torna, anche i più piccoli dettagli.
Ma la cosa meravigliosa è che una tale perfezione formale o, anzi,
strutturale, non inficia mai l'impatto emotivo. Perché ok, The
Missing è un giallo, una detective story. Ma, soprattutto, The
Missing è un dramma umano spietato persino quando cede al gioco
delle parti, quello tra cattivi (cattivissimi) e buoni (buonissimi).
Tra l'altro, come in ogni giallo che si rispetti, rispettivamente il
protagonista e l'antagonista. Qui siamo di fronte ad un prodotto che
si ciba del noir ma non cede mai ad una brutalizzazione delle idee o
dei concetti. Gli autori infatti condannano senza pietà il lato
oscuro di un'umanità che si insinua nella normalità quotidiana e
dietro questa si mimetizza per poi, di nascosto, fare i propri porci
comodi.
Sedersi sul divano di fronte a The
Missing 2 non vuol dire solo scoprire cosa ci riserverà una nuova
puntata, non è solo essere straziati dalla bellissima opening. Farlo
vuol dire accettare di entrare in un mondo fatto di luci e ombre e,
assieme al detective Baptiste, di indagare queste ultime con il
rischio di farsi sopraffare. Il tuo cuore può essere puro quanto
vuoi, i tuoi obiettivi virtuosi e inattaccabili, ma le ombre se ne
fottono, ti afferrano e ti portano con loro dove la luce del sole non
potrà mai arrivare. Uno spettatore qualsiasi potrebbe sentirsi
sopraffatto da tale potere che strumenti transmediali come la TV
incarnano perfettamente. In questo caso specifico, a sopraffare il
nostro protagonista detective è l'ossessione, la stessa che avevamo
visto afferrare, trascinare e sconvolgere Tony Hughes, il padre di
Oliver, il bambino scomparso della prima straordinaria stagione.
Sviluppato su due piani temporali
diversi che, all'occorrenza, diventano anche tre o quattro, The
Missing 2 è un nuovo viaggio nel lato oscuro dell'essere umano visto
però, questa volta, con sguardo molto più personale, concitato,
molto più vicino ai personaggi, quasi permettendo una vicinanza
empatica agli stessi. Veniamo catapultati nelle loro dinamiche,
diveniamo parte del loro universo senza limitarci ad osservarlo con
sguardo glaciale, dall'esterno. Perché qui gli eventi fanno da
motore creando trame e sottotrame UMANE che appassioneranno ma
riempiranno anche di sgomento. Qui sta il bello, qui sta la potenza:
ad essere coinvolto non è solo il cervello, impegnato a cercare di
risolvere il caso, di capire come sono andati i fatti e come la
vicenda andrà a finire.
Qui siamo costretti a metterci il cuore, a
farcelo ferire, a versare lacrime e sorrisi o a rimanere gelati di
fronte una malvagità che trasuda follia. Questo rende ogni puntata
mai noiosa, anzi, i colpi di scena che portano in alto il cliffanger
di quasi ogni finale di episodio (da 60 minuti l'uno) contribuiscono
soltanto in minima parte a mantenere alta l'attenzione, a farci
desiderare di andare avanti con quella successiva. E poi, quando
l'ennesimo cerchio si chiude, rimaniamo inebetiti di fronte allo
schermo nero con i titoli di coda che ci scorrono sopra.
La seconda stagione di The Missing è
bella quanto dolorosa e le si perdonano quei piccoli momenti di
retorica che (difficile non notarlo) sono solo illusione, l'armatura
che certi personaggi si sono creati per riuscire a sopravvivere in un
mondo violento e cattivo ma fatto anche di bellezza, lì, nascosta da
qualche parte. O di giustizia, la stessa per cui lotta mettendo a
repentaglio tutto uno sherlockomsiano Julien Baptiste.
La prima stagione mi ha colpito moltissimo, dunque direi che questa seconda, per come ne parli, dovrà presto finire sugli schermi del Saloon.
RispondiEliminaE' spettacolare, per me siamo sul capolavoro o poco ci manca!
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