The Autopsy of Jane Doe (André Øvredal, 2016)


Quando il cinema horror ti sbatte in faccia film sopra la media, la tentazioni di incensarli ed elevarli oltre gli effettivi meriti (nella stessa misura in cui essi stessi si sono auto-elevati oltre ogni aspettativa) è sempre grande. Ed è, secondo me, quel che è successo ultimamente con The Autopsy of Jane Doe, film d'esordio in lingua inglese del regista norvegese André Øvredal, conosciuto dai cineamatori di genere per aver girato nel 2011 l'interessante mockumentary Trollhunter.

Oppure sono io a capirci poco o niente, cosa molto probabile, perché un po' in tutto il mondo si sono esaltati per questo horror “old style”, sopratutto gli americani (quasi ad averlo girato sia stato uno di loro) mentre io, pur essendomelo goduto, ho trovato grosse difficoltà ad esaltarmi a post visione. Sarà perché, nonostante sia stato girato da Øvredal, il film è stato scritto da Ian Goldberg e Richard Naing, autori televisivi da me non particolarmente graditi (Once – C’era Una Volta o Terminator: The Sarah Connor Chronicles).

In effetti non è certo sullo script che un film come The Autopsy of Jane Doe basa la propria riuscita e c'è da dire che la gestione della storia mi è parsa piuttosto stiracchiata, perdendosi nel momento stesso in cui i nodi dovevano venire al pettine. Ma forse non è davvero quello il problema, quanto la necessità di conciliare le due nature intrinseche di un progetto come questo: quella di opera d'atmosfera e respiro europeo, legata ad una tradizione radicata, e quella di stampo più frivolo, teen, quasi televisivo, dal respiro corto e dagli spaventi facili.


In effetti la storia si presta: quella di un cadavere ritrovato sul luogo di un pluriomicidio familiare e dell'autopsia che ne consegue, attua a scoprire le cause della morte e (eventualmente) l'identità della donna momentaneamente chiamata Jane Doe. Immaginate quindi 100 minuti di pellicola quasi interamente ambientata nel luogo dell'autopsia - che poi altro non è altro che la casa del patologo Austin Tilden e del suo assistente Tommy, rispettivamente padre e figlio, con solo 3 attori – di cui uno fa il morto, la bellissima Olwen Kelly – e tanta atmosfera, quella della casa isolata e degli strani fenomeni che (con)seguono i vari esami sul corpo della bella malcapitata.

Due nature, dicevo, che si incontrano e si scontrano, due anime ugualmente importanti e che concorrono entrambe alla riuscita del film. Perché se infatti quella europea rappresentata da Øvredal permette a The Autopsy of Jane Doe di elevarsi sulla massa, quella “americana” gli permette di non nascere e morire nel limbo delle tante (troppe) piccole produzioni di cui nessuno si accorge, facendo l'occhiolino allo spettatore medio, quello che va al cinema per ottenere spaventi facili, magari cullato dall'idea di un sequel. Ma è proprio quest'anima che non interessa a me e che, nel corso della visione, mi ha fatto storcere qualche volta in naso.


Meglio specificarlo: questo è un parere puramente personale. Non c'è nulla di oggettivo in quello che sto scrivendo, si tratta di semplici sensazioni che, in quanto tali, restano puramente soggettive. E la sensazione che ho avuto guardando The Autopsy of Jane Doe è stata che il regista è dovuto scendere a compromessi. La stessa idea di affiancargli due come Goldberg e Naing mi fa protendere per questa ipotesi. A dirla tutta, ho l'impressione che i due sceneggiatori siano stati il guinzaglio che la produzione ha messo al collo del regista per dare al progetto una direzione concreta: quella verso il grande pubblico. Credo sia questo il motivo per cui, ad un certo punto, in quel vuoto cosmico che è la parte centrale del film, Øvredal ci abbia messo del suo creando un vero e proprio gioiello registico, d'atmosfera, con un occhio all'horror europeo tra gli anni '70 e gli '80 (qualcuno ha detto Fulci?) e l'altro alla tradizione folkloristica medievale di matrice quasi letteraria. Perché, ammettiamolo, tutta la parte centrale di The Autopsy of Jane Doe è un riempitivo d'alta classe tra un inizio praticamente perfetto (presentazione dei personaggi, introduzione di un mistero, ambientazione claustrofobica, progressivo accumularsi di informazioni) e un finale da fiato corto in cui i nodi vengono al pettine, il mistero svelato e ci si apre a futuri orizzonti.

The Autopsy of Jane Doe è un film che procede per accumulo, che non inventa nulla di nuovo ma ripropone i classici topoi del cinema horror da oggi a quarant'anni fa con stile ineccepibile ma anche con i soliti difetti, i soliti jump scare, le solite strizzatine d'occhio agli appassionati. Questo non ne intacca la riuscita ma, personalmente, lo ridimensiona. Resta un buon film ottimamente gestito, pulito, senza sbavature, ma concepito per “acchiappare” due diverse tipologie di spettatori. Ci riesce? Certo, senza eccellere né da una parte, né dall'altra. Ma va comunque bene così.

Commenti

  1. Mi è piaciuto abbastanza.
    Il meh è solo per la scena finale-finale, troppo horror hollywoodiano con sequel in cantiere. :)

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    1. Ecco, esattamente. Che poi è quasi ammiccante/ironica, non mi è proprio piaciuta

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  2. Ce l'ho in rampa di lancio: considerato che avevo adorato Troll Hunter, spero di non rimanere troppo deluso.

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  3. esaltato no, però ad averceli sti horrorini :-)

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    1. Esatto, qui siamo molto sopra la media. Peccato che per me è un film castrato dal fatto di essere americano

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  4. Segnato. Ultimamente voglio horror e non trovo nulla di decente.

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