XX (di R. Benjamin, K. Kusama, St. Vincent e J. Vuckovic, 2017)


Ho già parlato spesso e volentieri del mio amore per i film horror antologici. Amore che mi spinge a (cercare di) non perdermene uno anche quando so di trovarmi di fronte ad un'ipotetica cagata.
E' facile sbagliarli, gli horror antologici. Se prendi registi diversi, autori diversi, e li metti tutti nello stesso pentolone, corri il rischio che il risultato finale non sia amalgamato bene. O che il sapore finale sia diverso da quello che ci si aspettava. Magari gli ingredienti si annullano a vicenda. Magari si scopre che hanno sapori troppo dissimili, a volte opposti, che creano una dissonanza. Poi non è detto che la qualità sia uguale per tutti. Insomma, quando prepari un film con cortometraggi di più "personalità", il risultato è sempre un terno al lotto. E tutti noi sappiamo quanto difficile sia beccare i numeri giusti. 

Ponendomi quindi di fronte ad un film come XX (2017) non sono stato accarezzato nemmeno un istante dal dubbio se guardarlo o meno. Il dubbio, l'unico, vero, grande dilemma, era piuttosto sulla riuscita finale di un progetto difficilissimo anche solo sulla carta. Guardare poi i diversi voti sul web non è stato incoraggiante. Devo ammettere però che il risultato ha superato le mie iniziali aspettative e sciolto le mie diffidenze. Perché a me XX non è piaciuto, ma non l'ho trovato nemmeno quella gran cagata di cui molti hanno parlato. 

Presentato per la prima volta nel Gennaio di quest'anno al solito Sundance Film Festival, XX è un'antologia horror tutta al femminile. Lo dice il titolo stesso, con quel riferimento al doppio cromosoma X, e quella locandina che non lascia dubbi sull'intento del progetto. Quattro cortometraggi di quattro registi diversi. Tutti donne. A me un'idea del genere deprime: nel momento stesso in cui devi evidenziare la matrice sessuale di un opera stai ammettendo un fallimento, quello della parità dei sessi nel mondo del cinema. In quello dell'horror in particolare. Per me questa è una cosa tristissima. Nel 2017 cose del genere non dovrebbero neanche esistere!

Ma sappiamo tutti che una donna resta una donna: mamma, moglie, fidanzata. Ed è sui ruoli che ogni corto mette un accento macabro, trasformandolo in una prigione o una maledizione. O entrambe le cose. 

Ma andiamo con ordine:


The Box è scritto e diretto da Jovanka Vuckovic, che in carriera si è occupata solo di cortometraggi. Il corto è basato su un racconto di Jack Ketchum e vede una madre alle prese con un problema domestico: suo figlio più piccolo, dopo aver sbirciato in una scatola appartenente ad un sinistro signore in metropolitana, smette di magiare. Contagerà con la sua rivelazione anche il resto della famiglia, lasciando solo lei all'oscuro di tutto. Il senso di isolamento della donna all'interno del nucleo familiare diviene prigione, fonte di ansie, e la trasforma in una vittima dell'impotenza. L'unico modo per essere ancora accettata, l'unica possibilità per non divenire estranea a se stessa e ai propri cari, diviene quindi il farsi "divorare" dalla situazione, accettare il compromesso e fingere. Con basi simili questo è sicuramente il lavoro virtualmente più interessante tra i quattro. Peccato però che la Vuckovic basi tutto sulla capacità dello spettatore di accettare una sospensione dell'incredulità che in questo caso si fa estrema, senza mai arrivare ad un effettivo risvolto, anche solo d'atmosfera. Per questo, alla fine, The Box si rivela inconcludente e snervante, un nulla di fatto che permane solo simbolicamente ma si rivela narrativamente insignificante, quasi la regista non sapesse più dove andare a parare... o avesse semplicemente osato troppo. Ma ammetto di non aver letto il racconto da cui è tratto.


The Birthday Party è diretto da Annie Clark (a.k.a. St. Vincent, cantante polistrumentista alla sua prima prova dietro la macchina da presa) e scritto a due mani con Roxanne Benjamin.
Il corto parla di Mary, che il giorno del compleanno di sua figlia Lucy dovrà far fronte ad un occultamento di cadavere. E' evidente che l'idea sia quella di spostarsi nell'ambito della commedia grottesca e di rappresentare la donna vittima nel proprio ruolo di madre, che tutto farebbe pur di non rovinare l'infanzia della propria piccola, ma che otterrà poi l'effetto opposto. Solo che, in questo caso, il risultato è estremamente piatto: The Birthday Party non fa ridere e non fa paura. Anche lui richiede troppa sospensione dell'incredulità senza riuscire poi a gestire il lato "comico" e surreale della tragedia, non riesce a giocare con l'ansia e si solleva per un attimo solo nel finale, forse l'unica parte riuscita. Per il resto io l'ho trovato minutaggio sprecato e il segmento più debole dell'antologia.


Don't Fall, scritto e diretto da Roxanne Benjamin, per me si rivela una prova più che dignitosa. Forse perché la Benjamin non è una novizia nel mondo degli horror antologici, avendo già partecipato come regista in Southbound e come produttrice nel primo e nel secondo V/H/S.
Nulla di nuovo sotto il sole, nessun'intenzione sperimentale come nei precedenti cortometraggi, semplicemente un solido e consueto horror camping con mostro annesso. Manca anche una vera e propria simbolica rappresentazione della donna e del suo ruolo sociale, piuttosto ci si approccia al tema della "paura" da un punto di vista femminile o a quello della sovversione dei ruoli maschio/femmina nel cinema horror. Fatto sta che nella sua semplicità e ordinarietà Don't Fall è un cortometraggio canonico ma solido, con ottime scene d'azione e una buona gestione degli spazi (soprattutto quello interno del caravan).


Her Only Living Son è scritto e diretto da Karyn Kusama che io, per inciso, ho adorato in The Invitation. Sappiamo tutti dell'odissea professionale vissuta da questa regista nel corso della sua carriera, ma conosciamo tutti anche le sue doti. Doti messe a dura prova da un minutaggio ridotto e da una storia ambiziosa. Anche qui non si brilla per originalità: parliamo di un classico dell'horror, quello sulla venuta (e la nascita) dell'anticristo. Io l'ho visto come un ideale proseguo (o meglio, un what if...) di Rosemary's Baby, tutto incentrato sul rapporto madre/figlio. Il ruolo di madre, qui, assume connotazioni esasperate da una situazione esasperante che va oltre l'ordinario, che diviene scelta disinteressata se non all'amore stesso e al suo frutto, al di là dei suoi effetti pratici. Quel tipo di amore che sconfigge persino il male più profondo? Forse, ma sarebbe troppo banale. Oppure l'unico amore che può nutrirsi di se stesso? Chissà. Sta di fatto che Her Only Living Son è il segmento tecnicamente più riuscito ma anche quello più sacrificato dal formato antologico. 

Alla fine, poteva andare peggio ma, di certo, non va bene. C'è poca amalgama, non sembra per nulla di avere a che fare con un progetto unitario. Forse i problemi in fase di produzione hanno influito, così come i cambi alla regia. Sta di fatto che XX non è né carne né pesce. I cortometraggi che osano alla fine ottengono i risultati peggiori, quelli che scelgono una strada canonica si rivelano i più riusciti ma anche i meno interessanti. E se lavori come questi sono l'occasione per cercare nuove strade (o nuovi volti), allora questa è sicuramente un'occasione sprecata. Se invece l'intento era un progetto in chiave femminile, beh, si doveva fare di più.

Alla fin fine meglio la cornice in stop motion, che ho trovato visionaria al punto giusto ed esteticamente azzeccata. Ma, anche qui, troppo slegata da tutto il resto. 

Se comunque, in un modo o nell'altro, questo post ha solleticato la vostra curiosità, potete trovare XX su Netflix in lingua originale. Alla fin fine è solo 1 ore e 20 minuti di film e non c'è nulla di meglio che giudicare qualcosa con i propri occhi e la propria testa. Tanto c'è di molto peggio in giro, sul grande e piccolo schermo.

Commenti

  1. I film a episodi non mi fanno impazzire più di tanto, ma questo sembra essere pi interessante del normale.

    Comunque, se vuoi, avresti un premio da ritirare dalle mie parti.

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