The Void (di Steven Kostanski e Jeremy Gillespie, 2017)

Che locandina fighissima

E' notte, c'è una casa isolata. Capiamo subito che qualcosa di brutto è successo, poi viene inquadrata una porta e questa porta ha un triangolo disegnato sopra. A un tratto la porta si apre e vediamo un ragazzo correre via: sta scappando. Al suo seguito una ragazza, sta scappando anch'ella, ma due uomini (uno un ragazzo, l'altro un adulto fatto e finito) le sparano e la fuga finisce qui. Il ragazzo invece già non si vede più: è sparito tra i campi, forse dentro al bosco scuro. No, non sono impazzito, non vi sto facendo spoiler. Questi sono i primissimi minuti di The Void, il film comincia così. Neanche il tempo di vedere i titoli di testa scorrere che il film vi ha già preso, vi ha già affascinato. Siete fregati ancor prima di iniziare, The Void ha già vinto, al netto di tutti i suoi difetti e le sue mancanze.

Siamo in Canada, dietro la macchina da presa troviamo Steven Kostanski e Jeremy Gillespie, due registi del collettivo Astron 6. L'anno è il 2016, anche se il film uscirà ufficialmente (in Canada) nel 2017. Film a basso budget, indi, finanziato in parte attraverso Indiegogo. La natura "economica" di The Void, però, non è percepibile da subito. Diciamo piuttosto che risalta nel momento stesso in cui vengono fuori i mostri. Sì, ci sono i mostri. Dove potrebbero mai stare nascosti i mostri se non "nel vuoto"? Kostanski viene dal mondo del make up cinematografico, Gillespie è essenzialmente un graphic designer. Il loro orrore è artigianale, fatto con la gomma e non so quali altri materiali si usino adesso. Si vede benissimo e infatti, per ovviare all'inconveniente, il loro stile di ripresa è traballante, sfuggente. I due giocano con un montaggio serrato, con il tremolio delle luci al neon, con i punti di fuga preda delle tenebre. Non si soffermano mai sulle creature che "evocano", non le indagano mai. Bene così, è la scelta migliore e mi ha ricordato un certo cinema giapponese body horror degli anni 2000 (tipo Tokyo Gore Police).


Ma soffermiamoci un attimo sulla trama: di che parla The Void? Siamo in un'ospedale pronto per essere dismesso: Daniel, lo sceriffo locale, vi ha appena portato un ragazzo ferito racattato per strada. E' un'emergenza. Nel pronto soccorso ci sono un medico, tre infermiere (una è la sua ex moglie) e tre pazienti. Ad un tratto però uomini incappucciati e vestiti di bianco circondano la clinica, mentre all'interno qualcosa di orribile sembra essersi svegliato.

Non è solo lo stile di ripresa ad essere sfuggevole, in The Void. Lo è anche la storia che racconta. In fin dei conti si tratta sì di un horror affacinante, ma senza senso. I due registi accumulano fatti, input, visioni, spunti e linee narrative, lasciandole poi un po' cadere per strada. Non ci viene mai data una spiegazione e questo è un bene, ma sembra quasi che ogni via lasciata aperta diventi poi un vicolo cieco. Mi sta bene, da questo tipo di horror non è bene aspettarsi che ci venga raccontata una storia. Ma se poi questa storia la cominci (servendoti anche dei lunghi monologhi di un personaggio) come minimo devi concluderla, anche solo visivamente. Facciamo un esempio pratico: se a un personaggio fai fare di tutto per ottenere qualcosa, per quella cosa non puoi fargli perdere interesse, così, senza ragione. O ancora: se in una stanza ci metti 10 persone, poi non puoi farne sparire 7 così, senza dirci che fine hanno fatto. 


Certo, la trama è un pretesto, ma sembra quasi che Kostanski e Gillespie abbiano inserito determinati elementi non perché funzionali ma perché sì, piacevano a loro e basta. Questo rende The Void assolutamente non sense e anche abbastanza vuoto, soprattutto considerando i temi scomodati: quello della nascita, quello della morte e quello della perdita. Che poi tutto l'horror contemporaneo si basa sull'idea della perdita e sugli effetti di quest'ultima. 
Cosa resta di The Void, cosa lo rende allora un film che merita di essere visto (perché lo merita)? Da una parte la potenza immaginifica, che per quanto derivativa sortisce sempre un porco effetto. Dall'altra il citazionismo e le associazioni che suscita in qualunque amante dell'horror. Sì, critichiamo sempre l'effetto amarcord nel cinema di genere, ma poi ci capitoliamo d'innanzi. 

In The Void, in superficie, c'è John Carpenter. Nello specifico c'è il cinema d'assedio di Distretto 13 e il body horror fantascientifico di La Cosa. Poi sì, il film ci ricorda anche Il Signore del Male, ma fin qui è vincere facile. 

Più nel profondo c'è altro. 


Ad esempio, i registi sono canadesi ed è impossibile non pensare ai b-movie di David Cronenberg (Il Demone Sotto la Pelle su tutti) o alla sua poetica della carne, anche se poi il design richiama Clive Barker. Tutto molto anni '80, ci credo. Sempre a livello di trama (ma non solo), il nume tutelare resta Lucio Fulci, di cui vengono citati senza mezzi termini Quella Villa Accanto al Cimitero e ... L'Aldilà (la scena finale signori. La scena finale!). Però poi ti accorgi che puoi trovare similitudini con una moltitudine di film, da Re-Animator di Stuart Gordon a Radice Quadrata di Tre (2001), del nostro Lorenzo Bianchini. Perché tutto è di derivazione lovecraftiana. TUTTO. Aveva ragione Alan Moore nel suo ultimo capolavoro (Providence): l'influenza di H. P. Lovecraft è arrivata ovunque, intrisa nella cultura pop o sub o alternative. E se la tua opera è citazionista, allora cita Lovecraft. Anche quando magari Lovecraft non lo hai mai letto. 

Quindi l'orrore è cosmico, viene dall'Altrove. Ma le porte dell'Altrove si aprono tanto nella pietra quanto nel subconscio. L'Altrove è tanto un luogo quanto un non-luogo: dimensione extraterrestre o dolore. Cantina o utero. E la chiave per aprire tali porte può essere un rito (orgiastico?), il sangue o la perdita di un figlio. Tanto la (fanta)scienza quanto il sentimento che irrompe nel quotidiano, mutandolo. Ecco cos'è l'orrore in The Void: l'estraneità (aliena) del dolore e il vuoto (incolmabile) che esso crea. Come la fai a descrivere una cosa tanto metafisica? Come fai a mostrarla? O ricorri al simbolo, alla metafora carnale (come hanno fatto Barker, Gordon e Cronenberg) o la sublimi. Kostanski e Gillespie hanno deciso soprattutto di sublimarla, ma non hanno la tecnica di Carpenter né la poesia di Fulci. Resta il fascino, quindi, indiscutibile, una prima parte molto bella (prima che l'orrore esploda, infatti), alcune ottime sequenze e un ritmo sempre alto. Il miglior horror dell'anno? No davvero, non scherziamo, anche se a me (in certi casi) va anche bene così. 

Commenti

  1. Un horror Lovecraftiano.
    Dovrebbe fare per me.

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    1. Prendilo con le pinze però, che spesso l'horror è tutto lovecraftiano perché Lovecraft è stato metabolizzato dalla cultura horror.

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  2. Steven Kostanski e Jeremy Gillespie sono bravi bravi, mi aspetto tantissime cose da loro, amano I registi giusti, hanno esperienza per gli effetti speciali vecchia scuola, leggono Lovecraft, ma faranno il botto quando usciranno da sotto le “gonnelle” dei Maestri che hanno ammirato. Io vado pazzo per Giovanni Carpentiere, va benissimo il debito di affetto ma bisogna elaborare le lezione, altrimenti siamo al limite del fan-movie, fatto alla grande sì ma poco altro. Ma sono certo che questi due ragazzi prima o poi faranno il botto. Cheers!

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    1. Speriamo, perché un film non può vivere di solo fascino, altrimenti mi vado a riguardare i grandi del passato e amen. In molti hanno trovato una loro strada, possono farlo anche questi due.

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  3. Pur nelle sue imperfezioni che citi, mi ha davvero affascinato! Un buon punto di partenza, spero che questi registi possano diventare dei grandi perché ne hanno tutte le carte.

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