Hereditary - Le Radici del Male (di Ari Aster, 2018)


Una cosa su cui insisto sempre è il potere dell'horror, che deve essere quello di turbare il fruitore. Il perturbante deve essere alla base di ogni horror che si rispetti, sia esso un racconto paranormale, uno splatter o un rape & revenge. Si tratta di un concetto psicoanalitico che può attecchire in base alla personalità o al vissuto del fruitore su diversi livelli. La così detta paura che ne può derivare è quindi soggettiva. In altre parole un film horror (rimanendo in ambito cinematografico) può non farmi paura ma di base deve presentarsi come qualcosa che mi turbi ponendomi di fronte a una contraddizione: il reale o il quotidiano che si fanno estranei. 

Molti nuovi registi horror hanno fatto propria questa lezione. L'hanno studiata e l'hanno imparata e con alcune tra le perle di questi ultimi anni, al netto dei loro difetti, l'hanno dimostrata. Non si tratta mai del mostro nascosto nell'ombra ma dell'ombra stessa che può nascondere il mostro. E non ci sono ombre più cupe e assolute di quelle che albergano nella mente (o nell'animo) umano.

Ari Aster è un signor nessuno al suo primo lungometraggio ed è incredibile quanto il suo Hereditary abbia fatto parlare di se soprattutto considerando il tipo di film che si dimostra essere al di là di battage pubblicitari e strilloni in locandina. Non importa poi che il giudizio sia unanime e se sia piaciuto a tutti o meno. Ammettilo: se vai a raccontare in giro che ti ha fatto schifo vuol dire che ti ha colpito. Perché Hereditary non fa schifo, anzi. E' che, nonostante tutto, ti ha turbato almeno per un istante.


EREDITA'

Dopo la morte della madre Ellen, Annie Graham dovrà fare i conti con l'eredità di dolore lasciatale. A farne le spese sarà soprattutto la sua famiglia, a partire dal primogenito Peter per arrivare alla piccola Charlie.

Parto col dire che Hereditary mi è piaciuto molto, ma sono lontano dal considerarlo l'horror dell'anno (facciamolo finire l'anno, almeno) o un capolavoro. Questo per due motivi particolari: il primo è che non mi ha fatto paura, il secondo che a un certo punto prende una piega che non mi ha colpito del tutto, anzi.
Esatto, io sono tra quelli convinti che la seconda parte del film, quella propriamente horror, sia meno riuscita della prima, ottima, oretta circa. Perché quello di Aster è un film in due, che inizia come vero e proprio dramma familiare tinto di horror e poi si trasforma in un horror paranormale tinto di dramma. Il che non implica necessariamente una contaminazione. Credo inoltre che l'inopporturno (solito) confronto con L'Esorcista non sia nemmeno tanto bislacco, essendo stato quello di Friedkin il più grande dramma horror della storia del cinema. 

Per più della metà del tempo Hereditary è un dramma familiare che racconta di un'eredità, quella emotivo/psicologica. Storia di dolore e follia, di lutti e rimpianti. Annie soffre per la morte di sua madre ma ne è sollevata, Peter è preda del rimpianto di una nonna che gli è stata negata durante l'infanzia, Charlie soffre perché abbandonata da una donna che per gran parte della sua breve vita le aveva fatto da madre. Al centro Steve, il marito di Annie, che assume un ruolo da moderatore e che eredita il disastro di un lutto a cui comunque resta estraneo. Come si suol dire, la vita ti presenta sempre il conto e anche quella è un'eredità da affrontare. 

Si tratta anche dell'eredità di un nome (Charlie), l'eredità che prende forma nell'inconscio (il sonnambulismo e il lavoro di Annie), quella della follia come tara familiare. 


Poi, a un tratto, il dramma familiare si tramuta in tragedia e con l'elemento tragico si palesa il perturbante: l'oscurità prende corpo, le ombre si fanno impenetrabili e i mostri iniziano a prendere forma, invisibili ma evidenti, quelli del dolore. Raramente mi sono sentito tanto a disagio per la scena di un film (che non vi sto a raccontare per non fare spoiler), raramente mi sono mosso sulla poltrona del cinema come ho fatto ieri, desiderando di uscire, andare via, sparire. Gran parte del merito va al regista per lo stile che adotta, i tempi, il taglio della scena e i movimenti di camera, ma non posso non sollevare un'ovazione nei confronti dell'attore Alex Wolff (Peter), che riesce a comunicare tutto attraverso lo sguardo e non smetterà di farlo fino alla fine del film.

La tragedia infrange i pochi equilibri rimasti. Dalla coltre di tenebra, pian piano, si cominciano a intuire le sagome di mostri inaffrontabili. La quotidianità del reale va in pezzi e ci diviene estranea e il film ci accolla la propria eredità, che noi non vogliamo: non è nostra, noi non centriamo nulla, siamo solo spettatori e il peso che Aster ci scarica sulle spalle è troppo grande per degli estranei.


UNA FAMIGLIA

I Graham sono una famiglia che, per quanto disfunzionale, riesce persino ad apparire reale. Non è la storia che la rende tale, bensì i comportamenti di ogni singolo membro. A conti fatti persino quelli di Charlie. Tutto merito di una scrittura che non punta sul realismo ma sulla coerenza. Non dimentichiamo che il tema è soprannaturale e aleggia fin dall'inizio, che tutto è relegato nel perimetro della finzione e della mimesis, come ci fa intendere sia l'inizio che la fine del film, bellissimi entrambi. La famiglia Graham è protagonista di una tragedia, è già mito, il riferimento a quello di Ifigenia (su cui tornerò dopo) non è casuale. Il monologo di Annie al gruppo di supporto ce lo fa capire benissimo, ancor di più la scena della cena in famiglia. Certo, senza attori come il già citato WolffToni Collette, Milly Shapiro e Gabriel Byrne il tutto sarebbe stato meno potente, ma la bravura di Aster sta anche nel dirigerli. 

Parlando di senso di colpa, di rimpianto, dell'elaborazione del lutto, questa famiglia diviene metafora che nella tragedia si scompone. Ogni singolo elemento diventa simbolo e ogni simbolo si piega alla necessità: quella del racconto horror e quella del dramma. Però è forse nel ribaltamento tra i due che mi sono sentito stranito, poiché esso avviene in maniera poco armoniosa, repentina addirittura. Mi è sembrato che in quell'istante la coerenza di cui parlavo venisse meno: ci si focalizza sull'horror in un modo che non mi ha convinto e resta il lato drammatico, intimo, quello su cui vale la pena focalizzarsi come dimostra il bellissimo dialogo tra moglie e marito verso il finale. 


SACRIFICI (SPOILER)

Torniamo un attimo a parlare di Ifigenia, la cui tragedia viene citata nel film in maniera quasi buttata lì (troppo bravo Aster, non solo a dirigere ma anche a scrivere). Quella di Hereditary è una storia di sacrifici, infatti. Tutto parte da un culto, quello su Re Paimon, di cui Ellen era la leader. Paimon è un demone che per arrivare sulla terra necessita di un corpo umano. Maschio. Vulnerabile. L'"eletto" dev'essere nella famiglia della donna che prima ci prova col figlio (fratello di Annie), poi vorrebbe farlo col nipote maschio (Peter) e infine col secondo genito di Annie (Charlie), che però nasce fammina. Sarà un massacro in tutti e tre i casi.
Nel mito di Ifigenia, Agamennone dovrebbe sacrificare la figlia ad Artemide, ma si rifiuta scatenando l'ira della Dea. Nel film Ellen (forse) si rifiuta di sacrificare Charlie, che è stata educata per essere il contenitore di Paimon ma che prima deve morire per entrare nel corpo di suo fratello., il maschio. Infatti il "sacrificio" della bambina avviene solo dopo la morte della matriarca. Eppure il sacrificio è corale, in Hereditary. Viene sacrificata Annie, che scoperta la verità cerca di opporsi. Viene sacrificato Peter, che perde la propria identità e viene quasi portato alla follia (vulnerabile). Viene sacrificato Steve, l'estraneo, il razionale (che si scontra con l'irrazionalità del sovrannaturale). 

Il sacrificio però non è solo materiale, fisico. E' un sacrificio simbolico che ricorre per tutto il film inteso come salvezza. Mi sacrifico per salvarvi o ti sacrifico per salvarti, il secondo di gran lunga più terribile del primo. Perché Annie, all'oscuro di tutto ma inconsciamente consapevole, arriva a cercare di abortire o di uccidere i propri figli pur di salvarli, un amore materno che distorto si afferma e diviene violenza fisica o verbale ma, appunto, nel mondo onirico della donna. Troppo terribile è la verità per elaborarla come troppo terribile è il lutto. E forse il sacrificio più grande è proprio quello della donna in quanto madre, forza creatrice, che si antepone a quello di sua madre, forza genitrice egli stessa nel parallelismo dramma/horror. La sua eredità (quella di Annie) in questo caso diviene quindi anche paranormale, concretizzando così il lato horror della vicenda. 


CONCLUDENDO

Alla sua prima prova dietro la macchina da presa con un lungometraggio, Ari Aster si dimostra ben più bravo di quanto ci si potesse aspettare, perchè Hereditary è un film tecnicamente importante a dispetto del suo essere "povero". Completamente padrone della MDP, fine conoscitore del genere, il regista con la sua eleganza e la sua abilità procede lentamente e spietatamente per determinare il film, creare un mondo, staccandosi dall'eredità dell'horror fatto di continui jump scare. Non che in Hereditary non ce ne siano, ma vengono dosati. Quel che conta è il perturbante che persino nella seconda e ultima parte non smette di mietere vittime. Un corpo immobile nell'ombra, magari sorridente, turba molto più di un buuuu improvviso. Aster è bravo e questo film ti lascia lì a riflettere, a pensare, a elucubrare. La fotografia (di Pawel Pogorzelski) mi ha colpito molto, con quel suo giocare tra luce e oscurità mentre il sonoro, che per me nei film è importantissimo, crea effetti davvero inquietanti con poco (chi lo ha visto capirà a cosa mi riferisco).

Quel che non mi è piaicuta molto è stata la deriva finale, via via più ripetitiva, tra sedute spiritiche, corpi che volano (davvero, ho odiato questa cosa), teste segate e persone che corrono sul soffitto. Proprio quando il sovrannaturale diviene tangibile, quando il simbolo si fa carne, ho iniziato a sentirmi meno coinvolto. Inoltre il raccordo tra le due parti mi ha stranito, abbastanza confuso. Ma stiamo parlando di un'opera prima e di imperfezioni amplificate dal fatto che a me il film non ha fatto paura. Per fortuna l'ultima, terribile scena focalizzata ancora una volta sugli occhi di Peter e con quello sfumare nella casa delle bambole, rimette in parte le cose a posto. Quindi? Quindi bello anche se, personalmente, non me ne posso dire entusiasta. Merita una seconda visione, soprattutto per mettere ogni tassello al proprio posto. Consigliato a spettatori consapevoli.

Commenti

  1. Sono d'accordo: è un film che colpisce e divide, e questa per un horror così è la cosa più importante. Colpisce la consapevolezza di un esordiente come Aster... anche sul finale, che va drittissimo nonostante sia la parte più criticabile del film. Che a me è piaciuta comunque, mentre ho qualche remora sulla parte centrale

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    1. Interessante, intendi la parte della seduta o giù di lì?

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    2. Mi è piaciuta molto la prima parte in cui si aumenta la tensione a livelli quasi insostenibili... a convincermi meno è il modo in cui il sovrannaturale è stato svelato, l'ho trovata la cosa meno originale del film. Che mi riservo comunque di rivedere appena possibile :)

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    3. Concordo, anche io devo rivederlo assolutamente, in lingua originale...

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    1. Guardalo che merita al di là di quelli che io (e altri) abbiamo reputato difetti. Non te lo far sfuggire al cinema se puoi!

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  3. il mio parere già lo sai, e mi complimento in ritardo per questa analisi. Soprattutto la parte iniziale!, cosa che dico da una vita e mezza ma senza essere ascoltato...

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