Netflix: The Haunting of Hill House (di M. Flanagan, 2018)


Ho sempre inteso le storie di fantasmi come storie di ricordi, storie di memorie difettose e di menti infestate dall'irrisolto. Dal dolore latente che lascia tracce, poiché nulla si crea e nulla si dustrugge. Il sovrannaturale, in effetti, non esiste: esistono solo forme di conoscenza e di coscienza, ma tutto rientra nei parametri del naturale. "Ci sono più cose tra cielo e terra...".

Ammetto di non aver mai letto il romanzo L'incubo di Hill House, di Shirley Jackson, e questa è una grave lacuna che spero di riuscire a colmare al più presto. Nel frattempo però ho guardato (anzi, divorato) The Haunting of Hill House, serie TV trasmessa da Netflix e scritta/diretta da Mike Flanagan, dal quale è tratta. Ed è un capolavoro.


Hill House è una ghost story persa nel tempo, ambientata in un non-luogo (la casa) che si espande al di là dei mattoni e del legno di cui è fatta. Un Altrove in cui le anime si perdono, passato e futuro si confondono, in cui si muore per svegliarsi e sfuggire a quell'incubo che molti chiamano realtà. Che o ti uccide o ti fa impazzire, perché la realtà è un veleno a cui non facciamo altro che cercare un'antidoto, per tutta la vita.

Hill House è una casa, una magione, un essere vivente che ribolle delle storie di chi l'ha già abitata. Una gola ed enormi fauci che ti divorano insinuandosi nel subcoscio, subliminando le coscienze, infestando le menti. Funziona al contrario, con Hill House: un luogo infestante più che infestato. Un parassita che nel suo rosso stomaco digerisce storie che non le appartengono.

Hill House è la storia di una famiglia infestata. I ricordi la perseguitano, il futuro la terrorizza. Sette storie perse nel tempo, muri alti come rimpianti, l'incomunicabilità per tenere lontani se stessi quanto gli altri. I ricordi fanno male, la memoria ti perseguita, divengono entrambi l'oculo in cui chiudersi perché tanto la vita ti uccide poco alla volta. Non è altro che questo, a volte, la vita. E la paura da cui non riusciamo a liberarci è e resta la nostra condanna e la nostra prigione.


Ho amato profondamente Hill House, una serie entrata di diritto tra le mie preferite in assoluto. Sul podio, sicuramente. L'ho amata perché ha toccato corde molto intime del mio animo. Quello di Flanagan è infatti un horror potente per via della carica emotiva che trasmette attraverso l'interpretazione di un cast incredibile, la voce corale che assume permettendo un'amalgama perfetta nella frammentazione episodica e percettiva di ogni singolo personaggio.
Hill House è scritta benissimo. I personaggi risaltano divenendo tridimensionali, complesse forme di vita a cui è facile affezionarsi ma che non è impossibile disprezzare. Esseri umani, non macchiette. Ma è tutto il meccanismo a funzionare alla perfezione, un gioco di incastri tra episodio ed episodio con tutto il tempo (alcuni l'hanno chiamata lentezza) per sviluppare dinamiche solide in giochi tinti di chiaroscuro. Teatrale nella posa dei dialoghi e nella plasticità delle presenze nello spazio, fino ad arrivare a monologhi di una potenza shakesperiana, sicuramente letteraria.

La regia di Flanagan è semplicemente perfetta, caratterizzata da un'eleganza non solo visiva quanto, soprattutto, empatica. L'orrore scivola nel dramma familiare e personale senza negare forti spaventi, mai gratuiti. L'uso intelligente degli jumpscare si fonde con una capacità continua di perturbare, episodio dopo episodio, minuto dopo minuto. Guardando Hill House non viene mai a mancare la sensazione che qualcosa di terribile stia per accadere, almeno fino all'ottavo episodio. Le presenze subliminali che affollano la scena, impercettibili a volte anche ad una seconda visione, sortiscono lo stesso effetto che la casa ha su i suoi abitanti, tanto da far divenire lo spettatore elemento attivo e la paura interattiva. Corrosiva. I continui passaggi tra le due linee temporali, di una fluidità incredibile, tolgono il respiro e le musiche contribuiscono a creare un'atmosfera a volte opprimente, altre incalzante. Ed è bellissimo, bellissimo davvero.


Per certi versi non c'è nulla di nuovo all'orizzonte. Si percepisce un'attitudine a concepire il male e la sua influenza sulla realtà e sull'interiorità che richiama Stephen King (da IT a Shining, passando per Pet Sematary), ma il male diviene cosmico e lovecraftiano nel momento stesso in cui determina una realtà totalizzante e "altra" di cui la casa (il mostro, quasi un grande antico) si fa rappresentazione fisica e filmica. Qui entra in gioco però l'origine letteraria del soggetto da cui (a quanto ho capito) Flanagan prende le distanze ma che non può non condizionare la serie da un punto di vista concettuale. Ed ecco che Hill House si dimostra capace di essere e di mutare, mantenere le proprie premesse, divenendo qualcosa di diverso, il che mi da ancora più slancio per approcciare il capolavoro letterario da cui ho capito essere liberamente tratta. Resta comunque un Flanagan al 100% e chi ha guardato l'esordio Absentia, Oculus e persino il da me tanto odiato Somnia non potrà non accorgersene. 


The Haunting of Hill House ti spacca il cuore e ti stritola l'anima, una bomba emotiva che deflagra annientando le difese dello spettatore fino a lasciarlo spiazzato, immerso e annaspante nel buio dell'indifferenza e del dolore che ogni personaggio è costretto ad affrontare nel tentativo di riemergere dall'abisso, aggrappandosi con tutte le proprie forze ad appigli di luce pronti a franare in qualsiasi momento o situazione, lasciandoti a precipitare nel vuoto totale se non si è pronti a ricominciare il cammino da capo, ancora e ancora. Fa male, ma è necessario. Non c'è difesa contro la vita se non la vita stessa, tra quel che ti concede e quello che ti toglie. 

Lo avrete sicuramente capito, questo è il post di una persona assolutamente rapita da quel che ha visto. Prendetelo per quello che è, al di là dei difetti (l'episodio 9, a dirla tutta). Sigla:

Commenti

  1. Terminata e recensita qualche giorno fa (se ti va, trovi il post sul blog: un post insolito, perché molto personale pur parlando di un telefilm). Che ne parliamo a fare? Concordo pienamente. Mi ha commosso e stregato.

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