Suspiria 2018 e la stregoneria della danza


Il culto dell'esoterico, ovvero del nascosto, della conoscenza limitata a pochi e per questo arcana, è sempre stato vittima di un fraintendimento che lo ha confuso con l'occulto nel senso di sovrannaturale. In effetti l'esoterimo studia le scienze occulte, nascoste, ma che non per questo devono essere al di là della natura o della ragione. Le studia perché conoscere può voler dire poter rispondere alla domana "chi siamo" e, quindi, trovare se stessi.
Iconograficamente, l'esoterico è rappresentato come uno studioso all'interno di un gruppo di accoliti, unici depositari della verità in un dato campo. Tale figura, nel mito delle culture più disparate, ha assunto il ruolo di mago, sciamano o stregone che fosse, depositario di conoscienze sconosciute e quindi sovrannaturali, derivanti da contatti esclusivi con l'ultraterreno. 

Uomo, non donna, è bene precisarlo. Come hanno assunto connotati maschili gli esseri assessuati che queste conoscenze trasmettono: angeli e demoni, secondo l'influenza della cultura cristiana (con le dovute eccezioni). Le donne, quando ammesse al culto iniziatico, fanno caso a parte in qualità di serve o compagne. Comprimarie. Si crea quindi una dicotomia: quella dello scienziato maschio, rappresentazione dell'intelletto, e quello della femmina serva rappresentazione del corpo.

La figura della strega, in questa fisicità che rappresenta e la rappresenta, è sempre stata ingabbiata. Gabbia che però, celandola al resto del mondo, le ha consentito di assumere un ruolo sovversivo: quello di mettere in discussione il sistema fallocentrico. Azione che è sempre stata punita, dal rogo alla discriminazione. Tutta roba che non ha fatto altro che rafforzarla. Nasce una visione femminista della stregoneria, con al centro la cogrega di sorelle e all'apice la figura della madre. Tutto ciò è facile ritrovarlo nel Suspiria di Luca Guadagnino.


Il remake di Guadagnino si differenzia dall'originale argentiano del '77 proprio per come la figura della donna/strega viene rappresentata. Un'essere libero e indipendente, non in quanto donna bensì in quanto essere vivente. Una libertà che viene messa in pericolo e che la figura delle Madre deve sdoganare dallo stereotipo stesso. Non quindi la donna "contro" che antepone la propria fisicità (dall'utero alla sensualità) al "sistema", ma la donna libera di essere parte del tutto al di là di qualunque dualismo ghettizzante. 

Suspiria 2018 è un film scritto con cognizione di causa. Sono sicuro che Guadagnino abbia studiato gli esoterici segreti della stregoneria per carpirne alcuni simboli, che altrimenti non avrebbe potuto rappresentare. La musica e la danza sono due di questi. La musica come trasposizione del reale dal materiale all'etereo, la danza come subblimazione che permette l'emergere della comprensione dall'interno (l'inconscio) all'esterno (l'identità). Perché la strega è un essere identitario, che sa essere prima di saper fare, che sente la magia prima di poter fare incantesimi. E il regista rappresenta perfettamente ciò nell'unico modo in cui il cinema può fare: attraverso il simbolo. 

Il simbolo, in Suspiria, si fa estetica. Un'estetica strabordante, eccessiva. 152 minuti di film, 60 dei quali apparentemente inutili che procrastinano il finale fin dopo i titoli di coda. Un percorso lungo che non racconta altro che la scoperta di se attraverso la danza creativa/distruttrice. Un percoso verso la bellezza che può esistere solo sotto forma di arte. Bellezza svilita dalla storia in una Berlino vittima del terrorismo, in cui non si può essere che necessariamente contro. Lo dice la stessa madame Blanc: non c'è più posto per la bellezza nell'arte. Eppure Susie Bannion non è d'accordo e la sua è la vera e propria lotta femminista contro il femminismo fine a se stesso, figlio della violenza, che si fagocita.


La danza quindi come rituale. Non lo è sempre stato? Persino nella Bibbia, persino per le popolazioni indigene dell'Africa e del Sud America. Persino in Asia. La danza come magia, perché la magia è nel gesto che permette all'interiorità di emergere. Infatti il gesto è importante in Suspiria, la messa in scena è essenziale e l'immagine (la forma) permette al simbolo di respirare (i sospiri) grazie ad un montaggio (di Walter Fasano) che lo rende coreografico (come coreografica è la danza stessa). Tutto questo mentre la musica (di Thom Yorke) si fa carne e disfa la carne. Sono sicuro che per Guadagnino l'estetica del film non sia stato solo un vezzo ma il proprio modo di raccontare una storia che si perde nel momento stesso in cui ricerca una narratività. Che non desidera, soprattutto considerando lo spiegone iniziale ad opera di uno dei presonaggi,  Patricia Hingle.

La danza che crea e distrugge in tre momenti essenziali del film: quello iniziatico della prova per il ruolo da protaginista, quello della scoperta durante lo spettacolo, quello della consapevolezza durante il rito finale. La danza che si riflette nello specchio e che pone la danzatrice a tu per tu con se stessa. 


Suspiria 2018 è stato accusato di aver tradito l'essenza dell'originale di Dario Argento. La cosa è vera a metà: Guadagnino ha sì cercato una propria identità - non poteva essere altrimenti perché è di questo che parla il film - ma non elemosina in omaggi quando la fisicità dell'orrore e del colore (rosso) riporta alla mente alcune innovazioni stilistiche argentiane. Però il suo film va altrove, si esaspera, si fa visionario e onirico sull'orlo della video arte e del videoclip fino ad un finale che diventa sovraesposizione dell'eccesso fino al kitsch che, se lo andate a chiedere a Kundera, non è altro che "la merda". Però basta guardare la fotografia del Sabba per capire che non è un caso e basta avere la pazienza di arrivare alla scena dopo i titoli di coda per avere la certezza che l'occhio dello spettatore/MDP è sempre stato al centro dei pensieri del regista. 

Alla fine ho trovato Suspiria un film romantico, bellissimo ma consapevolmente sull'orlo dell'esercizio di stile fino alla mancanza di controllo che traspare da un punto di vista narrativo, ma mai fine a se stesso. Tutto sta nella chiave di lettura che si decide di dargli e che non è detto sia uguale per tutti.

Nota finale: Dakota Johnson qui è stupenda ma mai quanto Tilda Swinton che, tra l'altro, recita in ben tre ruoli. Nostalgico il cameo di Jessica Harper.

Commenti

  1. Piaciuto moltissimo. Una delle visioni più fascinose e immersive dell'anno :)

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    1. Concordo pienamente, esteticamente (e non solo) ha un fascino incredibile. Per questo me ne sono innamorato nonostante le imperfezioni.

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