Climax (di Gaspar Noé, 2018)


Non ho mai capito il perché, ma non riesco ad andare d'accordo con il cinema francese. Non tutto e non sempre, ma il più delle volte mi trovo irritato, annoiato o perplesso di fronte un film d'oltralpe. 
Sarà per questo che non ho mai guardato un film di Gaspar Noé. O forse perché ho sempre sentito parlare di lui come di uno che attraverso gli eccessi non vuole far altro che stupire, ad ogni costo. Insomma, una copia francese di Lars von Trier
Poi, un giorno, ho sentito parlare di 'sto Climax. E ho saputo che era un horror. Io di francese guardo spesso gli horror e le commedie, anche se non sempre mi piacciono. Quindi ho deciso di dare una possibilità anche a Noé.

"Sti cazzi", direbbe lui. Quasi avesse bisogno della mia approvazione. Neanche sa che esisto, Noé. Eppure io Climax l'ho guardato tutto e mi è piaciuto. Visivamente l'ho trovato mostruoso mentre da un punto di vista sperimentale è l'ennesima (riuscitissima) decostruzione dell'oggetto filmico. Perché questo di Noé diseziona il cinema e il modo di girare. Scompone l'idea stessa di film. Nulla di nuovo sotto il sole, ma quando una cosa del genere viene fatta così bene resta sempre una gioia per gli occhi.

Oltre questo, oltre un fattore puramente tecnico-estetico, non ci ho trovato altro, in Climax. E questa non è una critica: il regista fa parlare un film e crea una storia che però non racconta, bensì ci mostra. Praticamente l'essenza del cinema. Tutto il resto viene meno perché è così che deve essere. Non è una mancanza, ma l'unica "sottrazione" che viene concessa in un'ora e mezza di eccessi visivi. In cui non manca un continuo (ma forse anche un po' sarcastico) richiamo alla fierezza francese. 


Un gruppo di venti ballerini (quasi tutti) francesi viene chiuso in una sorta di scula di danza per prepararsi ad una gara internazionale che li porterà in America. Una sera, durante una festa, bevono della sangria in cui uno di loro ha messo dell'LSD. Sarà l'inizio di un delirio che sfocerà in un vero e proprio inferno.

Horror, ho detto prima. E in realtà Climax lo è, ma non nel senso comune del termine. Perché stiamo parlando di un'opera talmente "estroversa" da liberarsi di qualunque vincolo. L'horror, in questo film, è un mero pretesto. In un certo senso serve a creare delle aspettative e determinare quel climax che gli da il titolo. Ma cos'è un "climax"?

Nel cinema, trattasi di un crescendo che porta una serie di eventi al punto più alto dell'intensità raggiungibile: climax, in greco antico, vuol dire scala. E in effeti il film di Noé cresce costantemente salendo vertiginosamente di intensità, prendendo alla sprovvista lo spettatore e spingendolo a chiedersi cosa diavolo potrebbe mai succedere arrivati a questo punto. Lo porta, in un certo senso, all'esasperazione. Per farlo decostruisce il film che, dopo un prologo (che non è altri che il finale), ci propone i titoli di coda prima di arrivare, a circa 45 minuti dall'inizio, ai titoli di testa e facendoci aspettare la fine per farci vedere il titolo prima di un'ultima scena che si ricollega a quella iniziale creando una sorta di loop. Nel mezzo c'è una divisione in cinque segmenti: il primo consiste in una sorta di intervista ai venti ballerini trasmessa su una vecchia TV valvolare (con attorno alcuni film in DVD tra cui quelli che hanno ispirato il regista: Salò o le 120 Giornate di Sodoma, Suspiria, Zombi e Possession), il secondo in una coreografia di ballo raccontata in un lungo piano sequenza, il terzo in varie scenette dialogate a due, il quarto in un nuovo balletto ripreso con inquadratura fissa e dall'alto, quello finale in un lungo pianosequenza di 42 minuti in cui viene raccontato il delirio. Fino, come ho detto prima, all'inferno.


Quando parlo di inferno non lo faccio a caso. Nel quarto - infinito - segmento mi sono trovato più volte sorpreso di fronte la plasticità dei corpi e a come questi siano stati raccontati. Non ho potuto far altro, a un certo punto, che pensare a un parallelismo tra quello che mi veniva mostrato e l'arte di Gustave Doré (guarda caso un artista francese) con le sue illustrazioni della Divina Commedia, soprattutto del primo cantico: l'Inferno. Le pose dei personaggi, i loro movimenti, il loro venire prima schiacciati al pavimento tra i colori rosso fuoco della dannazione e poi ribaltati e quasi sospesi tra i tormenti e l'estasi della perdita di ogni freno morale o inibitorio ci porta in una sorta di girone dantasco che li imprigiona nell'ineluttabilità della natura umana. Si crea quindi una sorta di nesso con lo stesso Salò pasoliniano e con gli zombi romeriani (le movenze e gli atteggiamenti dei personaggi ricordano proprio questi ultimi). Ed è proprio di umanità che si parla, qui, fatta di carne e tendini e sangue. Di ossa e muscoli che si contorcono. Di sesso e dolore, piacere e morte. Lacrime, gemiti, urla. Crudeltà e cattiveria. L'orrore della carne in una body-art in moviemento che diventa body-horror. 

Climax è un film portato all'eccesso. Sono eccessivi i tempi dedicati ad ogni segmento, eccessivi i balli, eccessivi i dialoghi. Ma resta un film molto molto bello. Un film in cui è la macchina da presa ad adattarsi agli attori e non il contrario: diciannove non professionisti (tutti tranne la magnifica Sofia Boutella, che ci regala una tra le sequenze più belle dell'intero film) che improvvisano su una sceneggiatura di cinque pagine. I due lunghi piani sequenza quindi si aprono al film stesso e a tutte le possibilità che questo ha concesso al regista. Fanno scivolare la MDP tra i corpi di questi ballerini, prima per mostrarceli, poi per mostrarci la loro trasformazione, arrivando quasi a penetrarli. Non comunica con loro ma comunica con noi facendo da tramite tra i due piani: quello del reale e quello filmico. Non ce li spiaga (il background è minimo) ma ci racconta cosa fanno contribuiendo ad accrescere il sentimento di oppressione che si respira grazie a due elementi imprescindibili: la musica incessante e le luci che trasformano le location rendendole mutevili e mutando chi le occupa. 


Climax è un film che parla di cinema. Che si fa cinema. Non è il primo, non è l'unico e nemmeno il migliore, ma lo fa bene. Non restare a bocca aperta di fronte al primo balletto è impossibile. Non provare orrore davanti la violenza che propone è improbabile. Non restare infastiditi dall'isterico progredire della vicenda è difficile. Fatto sta che questo film di Noé tocca corde diverse del sentire umano portando a destabilizzare lo spettatore. Gli toglie, in altre parole, tutti i punti di riferimento. Resta allora solo un crescendo che porta una serie di eventi al punto più alto dell'intensità raggiungibile: Climax, appunto.


Commenti

  1. Io adoro Noè e, ovviamente, questo trip lisergico l'ho amato. Di questo regista recupera tutto, ne vale la pena - anche perché, a differenza di Trier, raramente cerca di elevare le sue provocazioni ;)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Recupererò, anche se trovai Irréversible abbastanza inguardabile :D

      Elimina
  2. Aggiungerei: non sentirti tu stesso fatto di Lsd è impossibile. Un'esperienza visiva non indifferente.

    RispondiElimina

Posta un commento

Info sulla Privacy